Sorvoli di droni su scali aeroportuali e infrastrutture militari, attentati a cavi sottomarini, attacchi informatici ai sistemi di controllo aereo, sabotaggi lungo linee ferroviarie: nell’Europa attraversata da un senso crescente di insicurezza, le operazioni di guerra ibrida condotte dalla Russia si sono moltiplicate negli ultimi anni, significativamente dalla vigilia dell’invasione su larga scala dell’Ucraina nel 2022. L’obiettivo perseguito da Mosca non si limita al campo militare: mira a erodere la coesione delle democrazie europee, a ridurre il sostegno a Kiev e a mettere in difficoltà i meccanismi di difesa collettiva dell’Unione Europea e della Nato. Come dimostra l’accusa proveniente da Berlino di aver voluto influenzare anche le elezioni federali di inizio anno, motivo per cui venerdì scorso il ministero degli Esteri ha convocato l’ambasciatore russo in Germania.
Le tecniche di guerra ibrida già in atto da parte di Mosca sono descritte da due esperti, Mario Baumann e Katri Pynnöniemi, in uno studio congiunto pubblicato dalla Deutsche Gesellschaft für Auswärtige Politik (DGAP) – la Società tedesca per la politica estera – uno dei principali think tank di Berlino, particolarmente ascoltato dai vertici governativi.
Baumann, project manager e ricercatore presso il Centro per l’ordine e la governance nell’Europa orientale, in Russia e nell’Asia centrale della stessa DGAP, e Pynnöniemi, professoressa all’Università di Helsinki e titolare della cattedra Mannerheim di studi sulla sicurezza russa, descrivono nel loro lavoro la logica con cui il Cremlino agisce nella cosiddetta “zona grigia”, dove la distinzione fra pace e ostilità si fa volutamente ambigua.
STRATEGIA DI CONFRONTO PERMANENTE
Secondo i due studiosi, la Russia ha scelto di misurarsi con l’Europa in un confronto continuo, che si muove appena sotto la soglia del conflitto militare aperto. In questa strategia, le “misure attive” – un concetto ereditato dal lessico sovietico e adattato al pensiero strategico contemporaneo – rappresentano strumenti essenziali per raggiungere obiettivi geopolitici senza ricorrere direttamente alla guerra.
Tra queste misure figurano campagne di disinformazione, sabotaggi mirati, operazioni cibernetiche e manipolazioni dell’opinione pubblica. L’intento è duplice: alterare la percezione della minaccia nei paesi europei e indebolire la capacità di risposta politica e militare dell’Occidente. Le incursioni di droni nello spazio aereo europeo e gli atti di sabotaggio contro infrastrutture energetiche, marittime o di trasporto terrestre non sono episodi isolati, ma elementi coordinati di una strategia che mira a logorare la resilienza delle società europee.
L’aspetto più insidioso di tale approccio è l’ambiguità. Operando attraverso intermediari e attori non statali, la Russia costruisce un margine di negabilità che rende ardua ogni attribuzione diretta. Gli Stati colpiti si trovano quindi a reagire in modo difensivo, privi di certezze sulle responsabilità e sulle intenzioni dell’avversario. Come sta accadendo alla stessa Polonia dopo la bomba esplosa sui binari tra Varsavia e Lublino.
FASI DELL’ESCALATION E “CONTROLLO INDIRETTO”
Il documento della DGAP distingue con precisione le diverse fasi dell’escalation nei conflitti ibridi. Nelle situazioni di pace, Mosca punta a “preparare il campo di battaglia” attraverso operazioni di influenza che intaccano la coesione interna di un paese, riducendone la capacità di resistenza. A questo scopo ricorre a campagne di manipolazione dell’informazione e alla cooptazione occulta di decision makers o gruppi sociali in grado di favorire gli interessi russi.
Quando il contesto si inasprisce, la seconda fase – il “confronto” – fa leva su una combinazione di pressioni psicologiche, provocazioni e dimostrazioni di forza. L’aggressione informativa si accompagna a operazioni più tangibili, come sabotaggi o violenze mirate, utilizzate per destabilizzare la società bersaglio e costringerla a un atteggiamento di reazione passiva.
La terza fase coincide con la guerra vera e propria, in cui le misure attive si integrano con l’azione militare per neutralizzare la minaccia percepita e assicurare alla Russia un esito favorevole. Nella successiva “regolazione post-conflitto”, i mezzi militari e non militari vengono impiegati congiuntamente per congelare o risolvere il conflitto in modo che gli interessi strategici russi risultino salvaguardati. In questa prospettiva, spiegano Baumann e Pynnöniemi, non vi è spazio per compromessi paritari: l’obiettivo è sempre l’annientamento delle cause del conflitto secondo la visione di Mosca.
L’EUROPA DI FRONTE ALL’AMBIGUITÀ
Dal 2022, l’Ue e la Nato hanno compreso la portata del problema e adottato diversi strumenti per contrastare la guerra ibrida, tra cui l’Hybrid Toolbox europeo, il progetto EUvsDisinfo e il programma Baltic Sentry dell’Alleanza Atlantica. “Nonostante ciò, le politiche occidentali restano perlopiù reattive”, osservano i due studiosi.
Le cause di questa prudenza risiedono nella “complessità del contesto asimmetrico” in cui l’Occidente si trova a operare. Le democrazie europee, “vincolate da norme e principi di trasparenza”, si muovono in un ambiente dove la Russia, priva di simili vincoli, si considera “in un confronto permanente con l’Occidente e ritiene legittimo agire per difendere i propri interessi percepiti”.
Baumann e Pynnöniemi evidenziano inoltre la difficoltà di tradurre la minaccia ibrida in parametri d’azione concreti: il mancato riconoscimento di una “linea rossa” rende complicato ogni tipo di deterrenza. Finché la Russia opera nell’ombra, i paesi europei faticano a individuare e neutralizzare la natura ordinata delle sue attività ibride.
GIOCARE CON L’INCERTEZZA
Per il think tank berlinese, la chiave di una risposta più efficace sta nello spostamento da una strategia puramente difensiva a “un approccio proattivo”. In primo luogo, ciò richiede di ridurre l’incertezza tramite un’analisi più precisa del pensiero militare russo sull’escalation e sul concetto di minaccia. Condivisione d’informazioni, coordinamento e trasparenza risultano essenziali per smascherare le operazioni decentralizzate e collegarne le origini.
In secondo luogo, gli studiosi invitano l’Europa ad accettare che “una parte dell’incertezza rimarrà inevitabile”. Saperla “gestire”, invece di “cercare di eliminarla del tutto”, può trasformarsi in una risorsa strategica. Ciò implica sviluppare capacità di innovazione e decisione rapida, aumentare la resilienza delle società democratiche e creare meccanismi di risposta flessibile. Alcuni passi in questa direzione, come le simulazioni di “red teaming” o la discussione sull’introduzione del voto a maggioranza qualificata nella politica estera dell’Ue, vengono indicati come strumenti utili a migliorare l’agilità europea.
Infine, secondo lo studio, l’Europa dovrebbe imparare a “giocare con l’incertezza”, ribaltando parzialmente la logica dell’avversario: “non imitare Mosca, ma renderle più costoso e rischioso mantenere l’ambiguità che consente le sue operazioni”. Solo quando la Russia non potrà più contare su una zona grigia sfruttabile, la sicurezza europea troverà un equilibrio capace di resistere alla pressione ibrida, concludono gli autori.




