In un momento storico di conflitti militari e tensioni internazionali, l’Artico, la rotta dell’Alaska ed il Mar Baltico sono al centro della complessa rete di interessi geopolitici che coinvolge Stati Uniti, Nato, Russia, Cina e Paesi baltici.
Martedì 21 maggio scorso, il ministero della Difesa russo ha annunciato un piano per espandere le acque territoriali della Federazione Russa nel Mar Baltico, vicino al confine marittimo con Lituania e Finlandia, alimentando la guerra psicologica contro le opinioni pubbliche europee. Secondo fonti di intelligence, il presidente Vladimir Putin da tempo avrebbe pronto un piano per invadere l’isola svedese di Gotland, strategicamente situata nel mezzo del Mar Baltico, tra Stoccolma e Kaliningrad. Da sempre neutrale e smilitarizzata, nel 2016, a seguito dell’annessione della penisola di Crimea da parte della Russia nel 2014, la Svezia ha reintrodotto truppe permanenti nell’isola di Gotland. Ma le minacce ibride russe non si sono mai fermate: sconfinamenti aerei, schieramenti di truppe e mezzi lungo i confini e petroliere ombra russe sono state una costante presenza nella zona economica esclusiva della Svezia, al largo della costa orientale di Gotland. Una enorme flotta di 1.500 navi che opera al di fuori del settore marittimo ufficiale, che come gli “omini verdi”, milizie entrate in azione in Crimea per prendere il controllo delle infrastrutture strategiche, non appartengono a nessuna Forza armata. Sentendosi in pericolo, a marzo di quest’anno la Svezia è stata accettata come nuovo Membro della Nato, il che significa che è coperta dall’articolo 5 del Patto Atlantico, che garantisce l’intervento a difesa di un Paese attaccato da parte di tutti gli altri Stati dell’Alleanza. Un limite invalicabile per il Cremlino, a meno di non voler provocare una escalation tale da coinvolgere la Nato.
LA BATTAGLIA STRATEGICA PER L’ARTICO
L’importanza strategica della regione Artica, prima del 24 febbraio 2022, era principalmente focalizzata sugli sconvolgimenti dovuti al cambiamento del clima e dal conseguente scioglimento dei ghiacciai, che oltre a rappresentare una minaccia ambientale sta aprendo nuove rotte navigabili e opportunità di sfruttamento delle risorse minerarie ed energetiche presenti nel dominio subacqueo artico. Dopo l’invasione Russa dell’Ucraina, le potenze globali hanno incrementato la loro presenza militare nell’Artico, diventato sempre più una frontiera della competizione strategica.
L’Artico, denominato anche Artide, è la regione della Terra che circonda il Polo Nord, si estende per circa 30 milioni di Km2 ed è abitata da oltre quattro milioni di persone. Non avendo un’estensione definita, l’Artico viene convenzionalmente delimitato dalla zona a nord del Circolo Polare Artico, ovvero a latitudini superiori ai 66°33’39” Nord.
Le nazioni che fanno parte della regione artica sono: Canada, Danimarca (con Groenlandia e Isole Fær Øer), Finlandia, Islanda, Norvegia, Svezia, Russia e Stati Uniti.
Il valore geostrategico della regione artica è rappresentato da due principali elementi: le risorse naturali e le rotte navali. I recenti rilevamenti effettuati con le nuove tecnologie fanno stimare che nell’Artico siano presenti il 30% delle riserve di idrocarburi mondiali, una quantità enorme di specie animali e vegetali ancora sconosciute e grandi risorse ittiche utilizzabili per il continuo scioglimento dei ghiacciai provocato dal riscaldamento climatico. Per quanto riguarda lo sviluppo delle rotte navali commerciali, proprio a causa dello scioglimento dei ghiacciai e grazie alle moderne navi rompighiaccio, il circolo polare artico potrà fornire due nuove vie di comunicazione navigabili tutto l’anno, attualmente utilizzabili solo per poche settimane nella stagione estiva. Inoltre, bisogna considerarne l’accezione strategica dal punto di vista militare, nel contesto di guerra ibrida globale in atto.
GLI SBILANCIAMENTI DI POTERE E LA CRISI DI CREDIBILITÀ DELL’ORGANIZZAZIONE DELLE NAZIONI UNITE
Il 6 febbraio 2023, la Commission on the Limits of the Continental Shelf (Commissione delle Nazioni Unite sui limiti della piattaforma continentale – CLCS), ha pubblicato un dirompente rapporto di 63 pagine con il quale ha accolto tutte le pretese russe su una vastissima porzione del Mar Glaciale Artico, comprendente anche il Polo Nord geografico. La Commissione ONU sui limiti delle piattaforma continentale e sul diritto del mare, che ad oggi conta 169 Membri contraenti, compresa la stessa Unione Europea ma senza gli Stati Uniti, che non hanno mai aderito alla Convenzione, con una risicata maggioranza dei 20 membri che compongono la Commissione fortemente influenzata da Cina, Russia e Paesi BRICS, ha accolto la maggior parte delle rivendicazioni della Russia sui fondali marini dell’Artico, ben 1,7 milioni di chilometri quadrati, compreso lo stesso Polo Nord. Rivendicazioni della Russia che si basano sulla premessa che quest’area sia un’estensione naturale della sua piattaforma continentale.
LE RICHIESTE DELLA FEDERAZIONE RUSSA
Gli Stati costieri membri della Convenzione hanno il diritto di inoltrare all’ONU ogni tipo di documentazione e studio scientifico per richiedere l’estensione della propria piattaforma continentale oltre le 200 miglia nautiche a partire dalla costa. Spetta a questa Commissione delle Nazioni Unite sui limiti della piattaforma continentale, valutare il fondamento scientifico delle rivendicazioni nazionali.
Secondo la Federazione Russa, una vasta porzione del Mar Glaciale Artico – che andrebbe addirittura a comprendere il Polo Nord geografico – deve essere considerata come un’estensione del territorio nazionale russo. È dal 2001 che la Russia avanza tali pretese, diverse volte modificate ed ampliate nel corso degli anni, in attesa di una decisione della Commissione.
È importante sottolineare il fatto che la Commissione non è in alcun modo un organo politico e non ha alcun potere per imporre le sue visioni. Si tratta di un gruppo di esperti formato da geologi, geografi e oceanografi che forniscono raccomandazioni non vincolanti – proprio in quanto “raccomandazioni” – ma che di fatto costituiscono un precedente impugnabile in caso di una controversia internazionale.
Pertanto, l’approvazione della CLCS non garantisce alla Russia alcun allargamento dei suoi confini, né tantomeno alcuna forma di dominio del Mare Glaciale Artico e sui suoi fondali. La posta in gioco nell’Artico è alta, con altre nazioni come la Danimarca (attraverso la Groenlandia) e il Canada in lizza per le rivendicazioni territoriali, oltre agli Stati Uniti ed alla Norvegia, che sono pronti a sfidare vari segmenti della rivendicazione russa.
I precedenti giuridici in materia di diritto marittimo suggeriscono che la Danimarca, essendo la Groenlandia la terraferma più vicina al Polo Nord, potrebbe alla fine emergere come legittimo pretendente.
Motivi per cui l’esito di questo report mina ulteriormente la credibilità dell’ONU ed alimenta le tensioni internazionali, mentre le rivendicazioni sovrapposte renderanno necessari, in un contesto assolutamente diverso dall’attuale, negoziati diplomatici per delineare i confini effettivi nella regione artica.
La narrazione della sovranità artica della Federazione Russa ha seguito il classico iter, con l’annuncio da parte del ministero della Difesa di Mosca della proposta di una variazione dei confini marittimi della Federazione Russa nel Baltico, seguita da una smentita e poi da una mezza conferma. Un classico esempio di manipolazione politica indiretta, che tende a provocare e pesare le reazioni dell’Occidente, seminare paure, tenerci sotto tensione.
Ennesima minaccia cui il primo ministro finnico ha risposto con lodevole sangue freddo e senza affermazioni retoriche, mentre la Nato nello stesso mese di marzo ha aumentato la sua presenza nella regione, attraverso manovre strategiche militari e politiche. Gli Stati Uniti, insieme ai loro alleati della Nato, hanno lanciato l’”Operazione Ice Camp 2024”, consolidando una forte deterrenza contro le ambizioni della Russia nell’Artico.
L’operazione Ice Camp 2024, precedentemente nota come Ice Exercise (ICEX), esercitazione nata nel 1946 in collaborazione con l’Arctic Submarine Laboratory, è stata elevata a Operazione per riflettere meglio la priorità della Marina statunitense nella regione artica, ed ha visto il coinvolgimento di U.S. Navy, Army, Air Force, Marines e Space Force e la partecipazione delle Royal Canadian Navy ed Air Force, delle Marine militari francese, britannica ed australiana. L’Operazione si sviluppa principalmente nel Mare di Beaufort, con l’obiettivo di affinare le capacità dell’Alleanza di navigare nelle condizioni estreme dell’Artico e testare nuove tecnologie, soprattutto sistemi acustici abilitati dall’IA, per la caccia ai sommergibili (anti-submarine warfare – ASW) nell’imprevedibile propagazione acustica subacquea polare. Queste esercitazioni sono una testimonianza dell’unità e della determinazione della Nato a difesa del libero accesso al mare aperto e per contrastare le ambizioni della Russia nell’Artico, enunciate nella sua nuova dottrina navale. Sono altresì fondamentali per stabilire una forte presenza della Nato nella regione, migliorando la prontezza per potenziali scenari ad alto rischio e la deterrenza necessaria a contrastare le mire espansionistiche russe. Questa operazione segna un cambiamento significativo rispetto alle precedenti esercitazioni, trasformandosi da una mera dimostrazione di capacità operativa bellica, in una nuova postura strategica degli Stati Uniti e della Nato.
UNO SGUARDO ALLA STRATEGIA ARTICA DELLA FEDERAZIONE RUSSA: SINDROME DA ACCERCHIAMENTO E SFIDE GEOPOLITICHE
La Russia percepisce il recente aumento delle attività militari degli Stati Uniti e della Nato nell’Artico, in particolare quelle vicino ai suoi confini, come una sfida strategica diretta. Mosca, da sempre, soffre di quella che gli analisti chiamano “sindrome da accerchiamento”: i russi temono che il loro immenso territorio venga circondato da forze nemiche. La prospettiva di Mosca è influenzata da fattori storici, geopolitici ed economici e la regione artica riveste un’importanza significativa per la sicurezza nazionale, per la sua aggressiva politica espansionistica e per gli interessi economici della Federazione Russa.
PROIEZIONE MILITARE E DINAMICHE DI SICUREZZA
Rafforzamento militare: l’aumento della presenza militare degli Stati Uniti e della Nato nell’Artico, soprattutto in prossimità del territorio russo, è visto da Mosca come un’escalation e una minaccia alla stabilità regionale. Gli analisti russi interpretano questo fenomeno come un tentativo americano di affermare il controllo sulle regioni chiave dell’Artico e di sfidare il dominio russo.
Contrasto all’espansione della Nato: l’integrazione della Finlandia e della Svezia nella Nato altera in modo significativo le dinamiche di sicurezza nell’Artico. La Russia vede questo fatto come una potenziale minaccia, sollevando preoccupazioni sulla vicinanza delle forze Nato ai suoi confini e sulla possibilità che gli Stati Uniti dispieghino mezzi militari avanzati ed armi nucleari nella regione.
STRATEGIA NUCLEARE
Deterrenza nucleare: la possibilità che gli Stati Uniti schierino armi nucleari nell’Artico è una preoccupazione significativa per la Russia. Una simile mossa non solo altererebbe l’equilibrio strategico nella regione, ma rappresenterebbe anche una minaccia diretta alla sicurezza nazionale della Russia. L’establishment militare russo vede questa strategia come una doppia minaccia volta a minare l’influenza regionale della Russia e a garantire gli interessi degli Stati Uniti.
CONTROLLO DELLE ROTTE MARITTIME E IMPLICAZIONI ECONOMICHE
Rotte marittime strategiche: la Federazione Russa considera il Grande Nord come proprio spazio vitale, pertanto ogni transito dovrebbe essere sottoposto a preventiva notifica. Quest’obbligo dovrebbe riguardare anche le navi da guerra e le navi in servizio governativo straniere, come avviene per il controllo dello Spazio aereo. Un obbligo che non rispetta le prerogative di immunità sovrana di cui godono le navi. Una visione territorialistica dei propri mari adiacenti assertiva e simile a quella che la Cina pretende di applicare nel Mare Cinese Meridionale. Una delle tante controverse rivendicazioni territoriali cinesi è la cosiddetta “Nine-Dash Line”, che fa riferimento a una linea geografica per identificare le isole nel Mar Cinese Meridionale, dove Pechino pretende di esercitare sovranità territoriale su un’area molto più vasta della Zona Economica Esclusiva (ZEE).
La Rotta del Mare del Nord (Northern Sea Route – NSR) è un punto focale della strategia russa per l’Artico. Questo corridoio marittimo, che corre lungo la costa settentrionale della Russia, sta diventando sempre più navigabile a causa dello scioglimento dei ghiacci marini. Lunga circa diecimila chilometri, dal Mar di Barents il traffico navale dovrebbe arrivare allo Stretto di Bering, navigando lungo la costa settentrionale della Federazione Russa, costituendo una nuova via di trasporto dal Pacifico verso la Russia. Si tratta di una rotta notevolmente più breve di quella che si percorre attraverso lo Stretto di Malacca, l’Oceano Indiano, Suez e il Mediterraneo. La Northern Sea Route è un progetto incluso nella “nuova strategia marittima globale” che la Russia ha presentato a San Pietroburgo nel luglio 2022, subito dopo aver lanciato l’”operazione Militare Speciale” contro l’Ucraina. Nella nuova strategia russa tale rotta viene considerata come una “via di comunicazione interna”. Per la Russia, il controllo di questa futura rotta non comporterebbe soltanto un guadagno economico derivante dall’aumento del traffico merci, dalle tariffe di transito e dalla riduzione dei tempi di navigazione, ma anche la governance militare strategica e la sovranità territoriale. Sempre secondo la sua strategia marittima, la Russia mira a sfruttare intensivamente la NSR entro il 2035, con nuove classi di navi rompighiaccio nucleari e mercantili in grado di trasportare merci in maniera sicura e competitiva tutto l’anno.
Interessi economici: la Russia ha investito molto nell’Artico, sviluppando infrastrutture, esplorando i fondali per ricercare giacimenti di petrolio e gas ed espandendo la propria presenza militare per garantire i propri interessi. Il potenziale sconfinamento degli Stati Uniti e della Nato in quella che la Russia considera la sua sfera di influenza è visto come una minaccia ai suoi investimenti economici e strategici nella regione.
Sfruttamento delle risorse: al di là delle considerazioni militari, l’Artico è visto anche come una fonte vitale di risorse naturali. La Russia teme che l’aumento della presenza militare degli Stati Uniti possa essere un precursore dell’affermazione del controllo su queste risorse, in particolare petrolio e gas, che sono fondamentali per l’economia e la strategia energetica globale della Russia.
Progetti espansionistici insiti nella nuova strategia marittima, che la Federazione Russa ha inserito tra le sue rivendicazioni alla Commissione delle Nazioni Unite sui limiti della piattaforma continentale, che le ha approvate nonostante le incongruenze giuridiche, concettuali e geografiche, incurante delle conseguenti gravi ripercussioni geopolitiche.
Una strategia artica assertiva, improvvidamente favorita da un organismo ONU, che sta provocando il rafforzamento della deterrenza della Nato e l’opposizione di tutti gli altri Membri del “Consiglio Artico” costituito da Canada, Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia, Russia, Stati Uniti e Svezia, e dal 2013 in qualità di “Osservatore” anche Italia.
Storicamente, l’Artico è stato un teatro di interesse militare e strategico, in particolare durante l’era della Guerra Fredda, quando i timori dell’espansionismo sovietico spinsero l’Alleanza Atlantica a dispiegamenti militari significativi. Oggi, dopo un lungo periodo di pace caratterizzato da sviluppo socioeconomico, tecnologico e collaborazioni scientifiche, l’evoluzione del panorama geopolitico ha riacceso le tensioni tra l’Occidente ed i regimi autocratici di Russia e Cina anche nel Grande Nord.
L’Artico, esattamente come lo Spazio, è diventato sempre più una frontiera della competizione strategica globale. Domini contesi in cui sta prevalendo la militarizzazione, facendo risultare insufficienti gli sforzi delle diplomazie nazionali e quelli di una delegittimata ONU che non riesce più a mantenere la pace e la sicurezza internazionali, il libero accesso e lo sviluppo sostenibile dei beni comuni globali, in conformità con i principi e le finalità per cui è stato costituito.