La missione africana di Sergei Lavrov, dalla prima tappa al Cairo fino all’ultima ad Addis Abeba, ricorda per certi versi la guerra fredda: la ricerca di clienti e alleati in quello che era allora il terzo mondo. Solo che nel frattempo quel mondo non esiste più e l’impressione è che gran parte dei paesi africani non siano così disposti a riconoscersi in una logica di sfere di influenza.
Il caso dell’Egitto è indicativo: neutrale di fronte al conflitto in Ucraina, vitalmente interessato all’accordo sul grano, compratore di armi dagli Stati Uniti, il generale Al Sisi può concedere a Mosca qualcosa ma non troppo. Perché sa che può ricevere qualcosa ma non troppo da un paese come la Russia, che costruirà a El Dabaa la prima centrale nucleare egiziana, che non pone problemi di rispetto dei diritti umani ma che non ha la forza economica o militare del mondo occidentale.
L’Egitto, quindi, continuerà a giocare su più tavoli. Ha interesse, dopo la scoperta del giacimento di Zohr da parte di Eni, a diventare a sua volta un grande produttore di energia in partnership con imprese occidentali. Il presidente egiziano ha fatto annunciare che adotterà un sistema di pagamento in rubli negli scambi commerciali con Mosca. Ma gli servono i dollari per rafforzare la cooperazione di difesa con gli Stati Uniti. Il Cairo sta valutando se aderire ai Brics; ma intanto ha partecipato al vertice organizzato dall’Arabia Saudita e dagli Stati Uniti con i paesi del Golfo, Giordania ed Iraq.
Il contesto in cui si è mosso Lavrov è quindi meno lineare che in passato. Il mondo africano, rimasto in buona parte neutrale di fronte alla guerra in Ucraina, è conteso fra grandi e medie potenze. La Cina, usando in modo spregiudicato la leva del credito, si è già alienata alcuni dei suoi interlocutori; l’America è tornata a considerare strategica l’Africa, ma senza impegni militari eccessivi; l’Europa ha interessi essenziali in gioco, a cominciare dalla diversificazione energetica, ma non sembra in grado di difenderli. ù
La Russia resta il principale fornitore di (vecchie) armi e di mercenari: come scriveva ieri Paolo Garimberti su Repubblica, la giunta militare del Mali ha espulso la Francia e adottato la Wagner. Mentre la Turchia si contende la Libia con Mosca. Rispetto alla prima guerra fredda, gli attori locali potranno ancora nutrire risentimenti anti-occidentali, sfruttati da Lavrov; ma parte delle élite africane, dalla Tanzania alla Repubblica democratica del Congo, vedono anche l’impianto neo-coloniale delle scelte di Mosca e Pechino e sono consapevoli del valore della propria ricchezza energetica e di materiali strategici.
Il tentativo di Mosca è di spostare paesi neutrali dalla parte delle “ragioni” della Russia: l’accordo sul grano, indebolito dai missili su Odessa, ha questo significato. È quindi essenziale che, dopo anni di relativa indifferenza, il sistema occidentale recuperi una capacità di incidere in quello che ormai definiamo il “Sud globale”. Il G7 ha colto il problema, lanciando un grosso progetto di investimenti in infrastrutture nei paesi che sono target potenziali di Russia e Cina: il problema sarà di passare rapidamente dalle intenzioni alla realtà.
È altrettanto importante che l’Ue cessi di muoversi in modo sparso e con un forte tasso di competizione interna fra la Francia (Macron è in questi giorni in Africa Occidentale) e l’Italia, danneggiata dalla crisi libica e in difficoltà — per ragioni diverse — nel Corno e in Egitto ma decisa a diversificare verso Sud le proprie forniture energetiche. Lo confermano i nuovi accordi con Algeria, Congo, Angola.
Intanto si ripropongono, dopo la solidarietà dimostrata verso i rifugiati ucraini, le divisioni europee sul problema migratorio. La guerra in Ucraina non segna solo uno spartiacque nei rapporti fra Occidente e Russia. Ha anche un impatto globale, di cui è indice la missione africana di Lavrov. È una dinamica che può ricordare, si notava, la prima guerra fredda. Ma le potenze in competizione sono più numerose, gli interlocutori locali hanno interesse a ritagliarsi uno spazio nel mondo a più poli di oggi e la posta in gioco è più alta: per la ragione molto semplice, se vista dall’Europa, che il futuro dell’Africa investirà in modo diretto e potente il nostro stesso futuro.
(Articolo pubblicato su Aspenia online)