Con l’annuncio effettuato via Twitter della propria candidatura alla nomination repubblicana, il governatore della Florida Ron DeSantis lancia a Donald Trump la sua sfida che sarà, come tutti prevedono, incentrata sugli stessi temi trumpisti che hanno fatto la fortuna dell’ex Presidente.
Ma chi è Ron DeSantis? Andiamo a vedere quali sono le posizioni e le idee del leader che lo scorso novembre ha stravinto la corsa al seggio di governatore attirando l’attenzione dell’establishment repubblicano che vede in lui una sorta di Trump senza Trump e. dunque, un’alternativa più potabile ad un uomo ingombrante ma tuttora popolare come The Donald.
Il trumpismo di DeSantis
Come rivelato dalla stessa decisione di affidarsi alle cure di Elon Musk per lanciarsi nell’empireo dei candidati Gop, DeSantis – scrive la Cnn – ha scelto di presentarsi ai suoi potenziali elettori come il “vero ribelle anti-establishment”, il quale, esattamente come Trump, intende rottamare “le convenzioni della tradizionale politica presidenziale”.
In pratica, osserva ancora la Cnn, scendendo in campo nell’agone di Twitter, il governatore “attinge dal manuale di comportamento non convenzionale di Trump” ponendosi nel solco del 45° presidente Usa.
Ciò che ci si può attendere dalla campagna elettorale di DeSantis è dunque uno spartito in cui si alterneranno grida manzoniane contro i liberal e la loro odiata cultura “woke” e appelli al cuore dell’America profonda.
Se dovesse diventare davvero Presidente, dunque, occorre aspettarsi faville da un politico che, come rileva l’Ispi nel suo dossier sulla candidatura di DeSantis, “è considerato persino più conservatore di Donald Trump: integralista cattolico, antiabortista, favorevole alla totale liberalizzazione della vendita e del possesso di armi, è un paladino della crociata contro la Critical Race Theory e l’identità di genere”.
Le guerre culturali di DeSantis
Nella sua ancora breve carriera di governatore della Florida, DeSantis si è distinto per una serie di battaglie campali contro i totem del nuovo progressismo, ovvero contro l’ultima incarnazione della cultura liberal – il cosiddetto woke – che fa leva sulle rumorose campagne per i diritti e l’uguaglianza delle etnie e dei generi.
Le guerre culturali di DeSantis sono cominciate con un provvedimento che prende di mira le scuole, i college e le università e, nella fattispecie, le lezioni impartite su un tema sensibile come la questione razziale. Il decreto del governatore proibisce, ad esempio, qualsiasi insinuazione relativa alle presunte responsabilità del mondo bianco per un razzismo considerato sistemico e strutturale.
Ulteriori disposizioni hanno riguardato il campo degli studi afroamericani, bastione della sinistra, che da gennaio in Florida non possono più dare liberamente voce a quella che DeSantis ha bollato come una “agenda politica”.
Altro target della furia trumpiana di DeSantis sono stati i famosi programmi DEI (Diversity, Equity and Inclusion) incardinati nei corsi impartiti nelle dodici Università e ventotto college statali.
Considerati l’epitome della cultura woke sin dai giorni delle grandi mobilitazioni di protesta per l’omicidio di George Floyd, il curriculum DEI è stati sottoposto a un severo piano di revisione finalizzato ad espungerne ogni riferimento a “teorie secondo le quali il razzismo sistemico, il sessismo e il privilegio sono connaturati alle istituzioni degli Stati Uniti e sono state create per mantenere le disuguaglianze sociali, politiche ed economiche”.
Ma la legge bandiera del nuovo corso della Florida è quella che i critici hanno ribattezzato “Don’t Say Gay bill”, la quale proibisce alle scuole di tenere attività didattiche sui temi del gender e dell’orientamento sessuale, estendendone l’applicazione anche agli studenti più maturi cui la legge obbliga di fornire materiali didattici “che siano appropriati all’età”.
È proprio una misura che è stata fieramente contestata dal movimento pro LGPTQ+ e che è stato prontamente sfidato nei tribunali a far scaturire la guerra legale tra il governatore e la Disney, motore economico della Florida, schieratasi a favore di quelle sensibilità.
La crociata contro i comunisti (cinesi)
La spiccata retorica anticinese di DeSantis ha fatto scaturire tre decreti nati con l’obiettivo di “contrastare la maligna influenza del Partito Comunista Cinese nello Stato della Florida”.
Come viene spiegato nel sito ufficiale dello stesso governatore, i tre provvedimenti mirano a sradicare l’influenza di Pechino nella società e nell’economia dello Stato allo scopo di “rendere la Florida lo Stato guida nella protezione degli interessi americani dalle minacce straniere”.
La nuova legislazione, spiega ancora il sito, si prefigge tre obiettivi: “limitare gli acquisti cinesi di terreni agricoli e proprietà poste nei pressi di basi militari e infrastrutture critiche, proteggere i dati digitali dalle spie cinesi e sradicare l’influenza cinese dal sistema formativo della Florida”.
L’ultimo atto di questa saga risale al 9 maggio scorso, quando il governatore ha apposto la propria firma sotto un decreto che bandisce TikTok da tutte le scuole dello Stato e dai server pubblici.
Le dichiarazioni trumpiane di DeSantis sull’Ucraina
Anche sul tema della guerra in Ucraina, il governatore si trova allineato a quelle di Trump, ambedue scettici se non contrari alla linea di sostegno illimitato a Kiev tenacemente garantita dall’Amministrazione Biden. Lo si evince da alcune dichiarazioni rese ai media che hanno fatto parecchio clamore.
DeSantis si è attirato numerose critiche quando, rispondendo al questionario sull’Ucraina inviatogli dal controverso ex anchorman della Fox News Tucker Carlson, ha definito il conflitto “una disputa territoriale tra Ucraina e Russia” che non rientra nei “vitali interessi nazionali” degli Usa.
Molto rumore ha fatto anche l’intervista concessa alla testata giapponese in lingua inglese Nikkei Asianella quale ha invocato un “cessate il fuoco” tra Kiev e Mosca, paragonando la situazione in Ucraina alla battaglia di Verdun, la più lunga della Prima guerra mondiale in cui perirono ben 700.000 soldati.
Sintonie trumpiane sul potere di Big tech
Sulla stessa lunghezza d’onda dell’ex Presidente è il DeSantis pensiero sui cosiddetti Gafam, le società tecnologiche come Google e Facebook che personalità come Trump considerano parte integrante di una grande cospirazione liberal ai danni dei repubblicani.
In un’intervista rilasciata al magazine The American Conservative l’ex animatore dei Tea Party ha affermato che quelle compagnie “stanno esercitando (sulla società americana) un potere più grande di quanto ne abbia avuto Standard Oil o qualsiasi altro trust dell’inizio del XX secolo”, ritenendo “appropriato” un intervento antitrust.