Sassonia e Turingia. Alcune cose da sapere sul voto. E non solo.
Il risultato del partito di estrema destra Alternative fuer Deutschland (in entrambi i casi con poco più del 30%) non è una sorpresa. I due Land si trovano entrambi nella ex Germania orientale, dove AfD, ormai da molti anni, è un partito ben radicato. Anche alle Europee del 9 giugno (vedi mappa) fu il più votato in questi territori.
AfD è stato il partito più votato in Turingia (che è la sua roccaforte nella roccaforte, guidata dall’iper-controverso Björn Höcke), ma è arrivato secondo in Sassonia, dietro i democristiani della CDU, il partito che fu di Angela Merkel e oggi è guidato da Friederich Merz, ed è all’opposizione del governo Scholz.
A proposito di Scholz, il suo governo registra (come già alle Europee) una tremenda batosta elettorale. La coalizione che lo regge è composta da Socialdemocratici, Verdi e Liberali: i tre partiti, insieme, superano a malapena il 10% sia in Sassonia che in Turingia. SPD e Verdi male; Liberali, dispersi in mare.
Insieme all’exploit di AfD, c’è anche un clamoroso risultato a sinistra che va sottolineato. Il nuovo partito personale di Sahra Wagenkneckt (BSW) supera in entrambi i casi la Linke, sinistra radicale tradizionalmente forte nella Germania orientale, ma ormai in declino. Le due forze, insieme, sfiorano il 30% in Turingia e il 20% in Sassonia.
Sarà molto difficile che AfD governi ora questi Land. Il sistema elettorale tedesco, proporzionale, li obbliga a trovare alleati. La dirigenza CDU nazionale non permetterà che i deputati locali stringano accordi con la destra radicale. E sembra molto difficile che accada con la sinistra di Sahra, anche se tra le due estreme ci sono posizioni simili su due temi importanti, come la riappacificazione con la Russia e un controllo molto più severo su immigrati e rifugiati – ricordiamo che la Germania ha accolto un milione di siriani e un milione di ucraini (oltre a tanti altri) negli ultimi anni: cifre senza paragone in Europa.
Sassonia e Turingia evocano già dai nomi il lungo passato europeo. Sono due regioni piccole (meno di 6 milioni di abitanti in tutto, sugli 85 milioni della Germania), ma ospitano le grandi e prestigiose città di Lipsia e Dresda (Sassonia) e le celebri università di Jena, Erfurt e Weimar (Turingia). Sulle barricate rivoluzionarie di Dresda, nel 1849, c’erano insieme l’anarchico Michail Bakunin e il compositore Richard Wagner. All’università di Jena, nello stesso momento, trovavi Hegel, Fichte e Schiller. A poca distanza, cent’anni dopo, avrebbe aperto il campo di concentramento di Buchenwald. Altri cinquant’anni dopo, il tenente-colonnello del KGB Vladimir Putin, di stanza a Dresda, avrebbe assistito con sgomento al ritiro delle truppe sovietiche dalla ex DDR: perse il lavoro, e se ne tornò a Leningrado a fare il tassista. Il socialismo reale si era afflosciato su sé stesso come un soufflé mal riuscito; dalla chiesa riformata di Lipsia, la ventenne Angela Merkel guidava le grandi proteste per farlo cadere.
Ma il voto a AfD, in questi territori, prima di essere ideologico o di protesta, è identitario. Un po’ come quello per la Lega in tante province di Veneto e Lombardia. È un voto di giovani e uomini. È un voto che esprime l’insoddisfazione di due Land che 34 anni dopo l’unificazione ancora si sentono di serie B in Germania. Si sentono una colonia dell’Ovest, ma rivendicano la loro diversità. È una storia di un’integrazione interna incompleta – o troppo affrettata, secondo alcuni, come lo scrittore Günter Grass. A partire dalle sudate Trabant (10 anni di lista d’attesa per averla) che negli anni ’90 venivano derise dalle Audi e dalle BMW sulle autostrade della nuova Germania. Le Trabant erano fatte in Sassonia e il loro nome (“satellite”) era un omaggio agli Sputnik sovietici. Alla riunificazione, metà degli operai perse il lavoro. Oggi la situazione economica nei due Land è discreta, ma molti non possono togliersi di dosso la sensazione di essere stati “assorbiti”; che la riunificazione non sia avvenuta “tra pari”.
Con gioia, accanimento e risentimento dunque si “puniscono” le élite liberal-democratiche del Paese, e la sinistra tradizionale al governo a Berlino, considerata troppo molle o liberale. Comunque mai troppo amata, da queste parti, anche se ora, impopolare ovunque. Anche grazie al rallentamento economico derivato dalle conseguenze della guerra in Ucraina, dall’inflazione all’aumento dei prezzi dell’energia. La CDU, restando fuori dal governo Scholz, ha vinto la lotteria.
Il sostegno all’Ucraina è stata una bandiera di Scholz (e della tedesca presidente della Commissione Ursula von der Leyen), ed è un tasto su cui battono con forza sia AfD che BSW. Il benessere della Germania orientale è considerato fragile, in una potenza industriale dove la produzione ha rallentato fino al 10% in meno rispetto al 2019. E dove le imprese sentono forte il richiamo dei sussidi lanciati dall’amministrazione Biden per la reindustrializzazione degli Stati Uniti, che non hanno un corrispettivo in Europa.
In effetti, il giorno dell’esplosione del Nord Stream (il gasdotto che legava direttamente Germania e Russia) la relazione tra i due Paesi è cambiata per sempre. Già da un anno sulla stampa tedesca alcuni convincenti reportage hanno svelato la matrice “occidentale” dell’attentato, condotto in pratica da ucraini con appoggio logistico polacco. E a metà agosto, il Wall Street Journal ha rivelato che la decisione del sabotaggio fu presa in una riunione tra politici e imprenditori ucraini, presente Zelensky, dove l’alcool correva a fiumi. (LINK I & II commento).
Insomma, gli elettori di Sassonia e Turingia, due settimane prima del voto, hanno saputo che le loro difficoltà economiche sono dovute al sabotaggio deciso da un Paese che suppostamente dovrebbero aiutare. Il gasdotto Nord Stream – così efficace che spinse la Germania di Merkel ad annunciare l’addio al nucleare – fu costruito dalla Russia in accordo con Democristiani e Socialdemocratici tedeschi.
Il tenente-colonnello Putin, oggi, può giocare questa carta a suo vantaggio.