Nata come presidenzialismo e cioè “elezione diretta del presidente della Repubblica”, come si legge nel programma comune con cui il centrodestra si presentò alle Politiche del 25 settembre 2022, è diventata premierato. Molto forte, che impedisca ribaltoni, governi tecnici e rispetti il verdetto popolare con il quale gli elettori indicheranno premier e la sua maggioranza. O meglio, il premier potrebbe anche essere ribaltato, ma non la maggioranza che dovrà sempre essere la stessa, pur con un altro esponente della stessa alla guida.
Se così si rispettano di più gli elettori e il loro voto, come afferma il segretario della Lega, vicepremier e ministro di Infrastrutture-Trasporti, Matteo Salvini, non è chiaro nella riforma Meloni- stando alla bozza che ha ricevuto un primo ok da un vertice di maggioranza – quale sarà lo snellimento dei processi decisionali. Cosa che era invece l’ispirazione numero uno della “Grande riforma” tracciata nel 1979 da Bettino Craxi che prevedeva l’elezione diretta del Capo dello Stato, accompagnata da una riforma elettorale e anche dei regolamenti parlamentari, senza l’abolizione del bicameralismo, e un aumento dei poteri della guida dell’esecutivo. L’abolizione del bicameralismo era invece il clou della riforma di Matteo Renzi.
La riforma Meloni sembra soprattutto incentrata sulla necessità che la maggioranza resti la stessa, senza aumento dei poteri del premier e senza particolare diminuzione di quelli del Presidente della Repubblica. Fabio Rampelli, cofondatore di FdI e vicepresidente della Camera, sottolinea il fatto che così non ci saranno più “giri di walzer e governi balneari”. E se non ci sarà quella che Craxi definì “quella forma di intervento del popolo nella vita pubblica che è l’elezione diretta del Capo dello Stato”, certamente i cittadini quella forma di intervento diretto la potranno esercitare con l’elezione del premier.
Ma lo snellimento dei processi decisionali al momento appare in ombra, sembra prevalere quella che il premier Giorgia Meloni ha sempre sottolineato come necessità di coerenza rispetto alla maggioranza uscita dalle urne per garantire stabilità al sistema. Bisognerà però attendere l’elaborazione completa della riforma.
Pd e altre opposizioni, ad eccezione di Matteo Renzi, attaccano, giudicandola, come la segretaria dem, Elly Schlein, “arma di distrazione”. Questo in coerenza con la bocciatura da parte della sinistra di tutte le riforme istituzionali finora proposte, da quella di Craxi, che veniva raffigurato da vignettisti di area di sinistra Pci con fez e stivaloni di fascista memoria, al boicottaggio interno agli stessi dem di quel referendum promosso dal loro stesso segretario Renzi, allora premier che poi si dimise da Palazzo Chigi.
Stefano Ceccanti, costituzionalista, ex deputato del Pd sottolinea la mancanza di una soglia minima al premio di maggioranza fissato al 55 per cento, cosa che potrebbe rendere la scelta incostituzionale. Maurizio Lupi, leader di Noi moderati, chiarisce a chi accusa che così il parlamento avrà meno potere e che quindi i processi decisionali verrebbero snelliti con eccesso di decretazione che ci saranno “i dovuti contrappesi”.
Perplessità secondo rumors anche in alcune aree della stessa maggioranza su una certa rigidità del sistema delineato. Siamo però solo a una bozza del disegno di legge del ministro delle Riforme Elisabetta Casellati che venerdì arriverà in Consiglio dei ministri. E sulla quale la maggioranza ha trovato una prima intesa.