Un compito spinoso e ingrato attende le Forze di Difesa di Israele (Idf) a Gaza, chiamate ora a distruggere la rete di centinaia di km di tunnel costruita nella Striscia da Hamas sin dai lontani giorni della fondazione del gruppo alla fine degli anni Ottanta. Un approfondimento dell’Economist ci aiuta a comprendere la portata di una sfida che richiederà all’esercito israeliano mesi se non anni per essere portata a termine.
Le origini
I primi tunnel furono costruiti a Gaza dopo il 1981 dai clan beduini, che li utilizzavano per il contrabbando. Quelli a scopo militare cominciarono invece ad apparire subito dopo la fondazione di Hamas nel 1987. Ma è con lo scoppio della seconda Intifada nel 2001 che inizia l’edificazione dell’odierna rete sotterranea, il cui scopo iniziale era di far entrare a Gaza armi e materiali dall’Egitto.
Scopi militari
Gli scopi militari di questa rete di tunnel sono evidenti. I comandanti possono nascondersi al loro interno e comunicare tra loro senza ricorrere alla rete telefonica di Gaza intercettata da Israele. Fungono da comodi arsenali per armi e munizioni. Sono stati usati anche per condurre assalti contro le forze di Israele durante le precedenti operazioni militari dello Stato ebraico a Gaza. E hanno consentito ad Hamas di effettuare raid e rapimenti anche all’interno del territorio israeliano.
La costruzione dei tunnel
Secondo uno studio della Rand Corporation, nel 2014 c’erano ben 900 operai impegnati a tempo pieno nell’edificazione di tunnel che costavano in media 100.000 dollari ciascuno, con capitali raccolti attraverso veri e propri schemi di investimento commerciale gestiti dalle moschee di Gaza.
Sempre secondo Rand, a dare una mano ad Hamas in questo sforzo sono stati Iran e Corea del Nord.
Che fa Israele
Quando nel 2014 Israele lanciò l’operazione Margine Protettivo per distruggere quei tunnel, ne eliminò 32 per un’estensione di 100 km, su un totale stimato di 1.300 tunnel e 500 km, ossia più di dieci volte la lunghezza dell’intera Gaza.
Sebbene la gran parte delle informazioni raccolte per eliminare i tunnel provenisse da fonti umane, l’Idf ricorse anche a tecniche ingegnose come dispositivi, simili a quelli impiegati nell’estrazione del petrolio, che producono vibrazioni ed eco attraverso esplosioni controllate. L’intelligence di Tel Aviv cercò di risalire alla loro localizzazione anche tracciando il segnale dei telefoni dei militanti per capire dove si interrompesse.
Distruggere quei tunnel non si è rivelato semplice. Non sempre le bombe di precisione in dotazione all’aviazione sono state in grado di distruggere obiettivi collocati a tale profondità. L’esercito ricorse anche all’impiego di un particolare tipo di esplosivo in gel, chiamato Emulsa, solo per scoprire che ce ne volevano dalle 9 alle 11 tonnellate per ogni tunnel.
Insidie
Le forze armate vietarono esplicitamente di entrare nei tunnel per combattere, essendo pieni di trappole esplosive. Nei pochi casi in cui quest’ordine fu violato, gli israeliani hanno fatto le spese di questa insidiosa guerra sotterranea. Il problema derivava anche dall’impossibilità di comunicare all’interno dei tunnel, dove non funzionano né i segnali radio né quelli GPS.
Gli unici mezzi efficaci per espugnare queste roccaforti sarebbero quelli oggi proibiti dalla legge, ma che furono impiegati nelle guerre del passato: il gas lacrimogeno dagli americani in Vietnam e gli agenti chimici dai sovietici in Afghanistan.
La tecnologia
La moderna tecnologia tuttavia può aiutare: l’esercito israeliano dispone di un certo numero di robot controllati da remoto che hanno il compito di aprire la via ai soldati. Ma non sempre la tecnologia si rivela affidabile: ostacoli terrestri possono bloccare nelle profondità quegli stessi robot senza che nessuno abbia la capacità o il coraggio di recuperarli.
Nuove dottrine
Nei quasi dieci anni che sono trascorsi dall’operazione Margine Protettivo, l’IDF ha aggiornato e rifinito le sue dottrine introducendo anche unità specializzate nel combattimento sotterraneo. In particolare il battaglione Yahalom ha visto aumentare i suoi ranghi da 400 a 900 uomini, cui si affiancano quelli delle unità di riconoscimento tunnel aggregate alla divisione che opera a Gaza.
Anche così tuttavia, conclude l’Economist, neutralizzare quella rete richiederà immani sacrifici in un’operazione destinata a durare parecchi mesi se non anni.