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Primo Maggio

Referendum sulla giustizia, perché andrò a votare

L'intervento di suor Anna Monia Alfieri

Con l’avvicinarsi del referendum di domenica 12 giugno si torna a parlare di riforma della magistratura: penso, allora, a voi, carissimi giovani, mossa dal desiderio di provare a darvi degli strumenti per potervi orientare in un argomento che presenta ricadute molto importanti. Non possono esserci risposte semplici a domande complesse, questo è certo; è, tuttavia, doveroso che noi, come cittadini, compiamo il nostro dovere, fino in fondo, costi quel che costi. È assolutamente necessario andare a votare, perché non possiamo pensare di cambiare la storia, di invertire il corso degli eventi, rimanendo semplici spettatori. Il covid e la guerra ci hanno fatto capire che dobbiamo metterci in gioco, dobbiamo essere protagonisti di un nuovo welfare, non possiamo accontentarci di essere solamente portatori di bisogni. Il voto è l’unica alternativa.

Quando penso alla magistratura e alla necessità di una sua riforma, penso immediatamente ai giudici Falcone e Borsellino ma penso anche a Enzo Tortora. I primi due hanno fatto parte del sistema e non si sono piegati alla corruzione, hanno desiderato una riforma dall’interno, una riforma quanto mai necessaria, visto che abbiamo smontato, agli occhi dei nostri ragazzi, il valore della magistratura. Il problema, però, sta nel fatto che, così facendo, abbiamo lasciato soli i nostri giovani. Falcone e Borsellino: due magistrati divenuti il simbolo di una magistratura che non si piega, che non merita di essere associata al sistema Palamara. Abbiamo tradito i nostri giovani, sottraendo loro il senso della legge, della giustizia, della pena riabilitativa, li abbiamo traditi con la menzogna del tutti corrotti. Dall’altra parte abbiamo Enzo Tortora, sbattuto in prima pagina con le manette ai polsi, accusato di associazione a delinquere di stampo camorristico e spaccio di stupefacenti. Tutti sappiamo come la vicenda si è conclusa.

La necessità di una riforma della giustizia è evidente, a tutti. Il problema è dato però dal fatto che, se un ministro tenta la grande impresa, il ministro molto probabilmente sarà costretto a rimettere il mandato. È una riforma, infatti, attesa da anni: basti pensare al tema della responsabilità civile del Magistrato, un tema caldeggiato già dal giudice Falcone che, non a caso, prima di essere ucciso da Cosa Nostra, dovette difendersi dalle accuse dei suoi stessi colleghi. Ebbene, noi siamo ancora fermi a quel 17 Giugno 1983, quando Enzo Tortora fu arrestato, a favor di telecamera, per di più! A rimetterci non è stato e non è l’Enzo Tortora di turno: a rimetterci è la Magistratura, l’immagine che essa trasmette ai cittadini.

Ovviamente, non mi riferisco a errori giudiziari di carattere materiale, mi riferisco al sistema Magistratura, a quel sistema che Borsellino e Falcone volevano cambiare dal di dentro. E, allora, per i cittadini i punti di riferimento, come la magistratura, si perdono. Noi dobbiamo evitarlo. Quello che ha detto Palamara è ciò che avevano detto già Borsellino e Falcone. Qual è la differenza? Che Borsellino e Falcone volevano cambiare il sistema, Palamara lo ha fatto proprio.

Quando uno denuncia di aver fatto parte di un sistema, perché si sceglie di essere collusi e corrotti, che cosa succede? Viene o non viene punito? Uno studente può domandarsi: “Come mai il Magistrato che ha sbagliato non paga?”. Normalissimo che se lo chieda. Ma non è chiaro che, in una situazione simile, il Magistrato ha una responsabilità civile personale non di fronte all’errore materiale, ma per aver scientemente perpetrato e perseguito un sistema fatto di collusione e di corruzione. Ovviamente è necessario operare grandi distinguo all’interno della Magistratura italiana, con una grande riconoscenza verso quei Magistrati che quotidianamente danno la vita, lavorando con scrupolo e dedizione eroici.

Vorrei richiamare le sagge parole di un giovane e bravissimo avvocato italiano, Fabio Viglione, in una intervista del 2 dicembre 2019 a Sicilia Press.it, in cui, rispondendo ad una domanda su cosa fare per fronteggiare la corruzione, rispondeva così: “Prevenzione, potenziare un alleggerimento della burocrazia soffocante e ingessata che produce spesso le condizioni per pratiche poco virtuose. Sempre maggiore trasparenza ed alleggerimento dei percorsi nei quali Stato e cittadino si incontrano. Esaltazione di modelli virtuosi nella famiglia come nella scuola. Il valore dell’onestà nasce e si alimenta nel quotidiano con gli esempi e le scelte che i genitori e gli insegnanti devono essere in grado di spiegare. Si deve partire sempre dalla formazione, dalla cultura. Non credo che la corruzione – degenerata prassi non certo recente e neanche moderna – si combatta più efficacemente solo con l’inasprimento delle pene e più carcere. Le pene comunque ci sono e sono massimamente severe. Vi sono poi le interdizioni correlate alla sanzione principale che fanno il resto. La corruzione esiste, purtroppo da migliaia di anni, da ogni epoca e in ogni società. È certamente una malattia, ma se diventa un’ossessione c’è il rischio di far perdere di vista anche le forme più equilibrate ed efficaci di contrasto. L’equilibrio è parola chiave anche quando si affrontano questi fenomeni.”

Altro principio capovolto della giustizia italiana è quello della presunzione di innocenza: fino a prova contraria, la persona indagata è innocente. Noi, invece, la reputiamo colpevole. Ci sono tre gradi di giudizio, ma l’indagato è già considerato colpevole. Occorre cambiare radicalmente questo sistema che condanna alla gogna mediatica, prima, all’infamia, poi, una persona che, alla fine, viene anche proclamata innocente. La pena smette di essere redentiva, la calunnia fa morire, distrugge.

E si apre il terzo filone importante: la Magistratura deve essere indipendente dalla politica. Necessari, dunque la “separazione delle carriere dei magistrati” e la “separazione dei tre poteri: legislativo, esecutivo e giudiziario”.

La giustizia serve non per essere giustizieri, ma per ristabilire l’armonia, per rimettere in ordine le cose, per una pena che non sia solo detentiva, bensì redentiva; al contrario ed erroneamente, rischiamo di considerare la Magistratura come una scure che cade sulla testa di chi vogliamo fare fuori. Così facendo, svuotiamo di significato le istituzioni, Magistratura in primis.

Ancora condivido il pensiero dell’avv. Viglione: “Finché avremo questa Costituzione (speriamo il più a lungo possibile) non potremo mettere da parte la funzione della pena e la necessità di guardare sempre alla personalizzazione della sanzione, al percorso di recupero del condannato che non può essere ininfluente in quest’ottica. Quando si chiude la porta del carcere, non è tutto finito. Non può e non deve essere così. Inizia un percorso che va monitorato con attenzione e serietà. “Gettare le chiavi” e far “marcire in galera” i condannati, sono espressioni che lascio pronunciare ai sostenitori del populismo giustizialista e dalle quali mi distanzio culturalmente. Rifiuto poi il principio che un uomo, pur intraprendendo un percorso di positiva elaborazione dell’errore, possa perdere il diritto alla speranza.”.

Il 12 giugno siamo tutti chiamati al voto, per dare una nuova testimonianza di civiltà e di responsabilità civile. Se vogliamo il cambiamento, la cabina elettorale è l’unica chance possibile.

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