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La radice della “ideologia russa” di Vladimir Putin

Il Bloc Notes di Michele Magno

Ha destato molto scalpore l’intervista al Financial Times in cui Vladimir Putin decreta la fine dell’idea liberale nel mondo contemporaneo. In realtà, non c’è nulla di nuovo sotto il sole. Si tratta infatti di un punto su cui l’ex ufficiale del Kgb è tornato più volte nel corso della sua ascesa al potere. Basta leggere un saggio di Vittorio Strada (“Impero e rivoluzione”, il Mulino, 2017), insigne studioso della letteratura e della cultura russa, per rendersene conto.

Esso si chiude con una illuminante osservazione di carattere storico, ma aperta sul presente. Alla radice della “ideologia russa” c’è una formula triadica, elaborata per la prima volta nel 1832 dal ministro dell’Istruzione Sergej Uvarov: Trono (lo Stato autocratico), Altare (la Chiesa ortodossa), Popolo (lo Spirito nazionale). Dopo l’Ottobre ne seguì un’altra: Marxismo-leninismo, Partito comunista, Popolo sovietico.

Attualmente il posto per una nuova triade è vacante né può occuparlo il terzetto “autoritarismo, nazionalismo, militarismo”, con cui si è soliti designare il regime putiniano. Infatti oggi l’impero è nudo. L’unico vestito “è il retaggio glorioso degli imperi zarista e comunista, da Ivan il Terribile e Pietro il Grande a Stalin, che portò la potenza russa al suo apogeo in senso territoriale e ideale, e la cui opera va continuata rimediando al disastro” provocato da ‘riformatori’ come Chrusciov e Gorbaciov (e, peggio ancora, Eltsin)”.

A foggiare il nuovo abito dell’imperatore sul modello dell’antico -conclude Strada- provvede attualmente un atelier di intellettuali che godono del monopolio dei mezzi d’informazione e dell’appoggio della Chiesa ortodossa, che tende a fare del cristianesimo orientale una religione nazionale di Stato. La veste è però fatta di un tessuto trasparente che “vela a stento la nudità, a differenza dei paludamenti dei grandi imperi del passato. Che cosa riservi l’avvenire non c’è profeta o futurologo che possa predirlo”.

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