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Vi racconto come Berlusconi sta influenzando la partita per il Quirinale

La nota di Paola Sacchi sulla partita per il Quirinale

 

Il candidato non candidato Silvio Berlusconi, comunque finirà, fissando già da ora il suo posto al “tavolo di gioco”, intanto un effetto lo ha ottenuto: quello di stare già condizionando l’inizio della partita per il Quirinale. Mettendo in difficoltà la sinistra, tanto più ora che, dopo Matteo Salvini, anche la presidente di Fdi, Giorgia Meloni dice sì a Berlusconi, perché “tutelerebbe la nostra sovranità”. Cosa che Il Giornale di Augusto Minzolini titola a tutta pagina “La svolta”. Segno delle difficoltà della sinistra è il fatto che ora  più che a Mario Draghi, sembra tornare al desiderio mai tramontato, nonostante i dinieghi del Capo dello Stato, di un Mattarella bis.

Più che i prevedibili attacchi e veleni degli organi del giustizialismo, il fatto che Berlusconi stia condizionando i giochi sono le evidenti difficoltà del Pd di Enrico Letta e certe lotte interne nel mondo pentastellato riacuitesi tra il presidente Giuseppe Conte e il ministro degli Esteri Luigi Di Maio. Entrambi però sono accomunati da una certa cautela sull’ipotesi di Draghi al Colle. Conte si è anche spinto a parlare genericamente di dialogo con il centrodestra, per non essere evidentemente tagliato fuori da nessuna partita. Partita a alto rischio, stavolta senza più rete: ovvero quella di un king maker, in un gioco dove la sinistra per la prima volta non ha più i numeri dopo tanti anni, ma non li hanno neppure gli altri. Al momento alcune strade a sinistra potrebbero anche portare verso Draghi. E sottolineiamo: al momento. Perché andrebbe in quella direzione la mossa, però dell’altro ieri, prima dell’uscita di Meloni, di Letta per la prima volta costretto a venire allo scoperto sulla Corsa al Colle, dopo aver detto che non ne avrebbe parlato fino a gennaio.

Come già scritto su Start Magazine, sarebbe un modo per tentare di arginare le mosse del Cav innanzitutto e eventuali alleanze con Matteo Renzi. Quanto al tormentone elezioni anticipate, per le quali cercansi un parlamentare uno di qualsiasi partito che le voglia, evidente che si tratta di un’arma per tenere a bada i gruppi, evitare soprattutto sfilacciamenti con malviste alleanze con i renziani. E, comunque, se si dovesse andare in direzione Draghi, ammesso che il premier lo voglia, anche un nuovo governo a guida di una personalità di stretta fiducia di Draghi come Daniele Franco potrebbe andar bene in un parlamento che vede il voto anticipato come fumo negli occhi. Questo a fronte soprattutto della riduzione del numero degli esponenti prevista dal referendum.

Perdere Draghi, sia al governo sia come candidato al Colle, come ora viene agitato sul piano mediatico, rischia di essere più che un nuovo tormentone, stavolta una leggenda metropolitana agitata ad arte. Perché se il premier accettasse è chiaro che l’elezione dovrebbe avvenire al primo colpo. Ma, come abbiamo sempre riportato, nei piani sotto traccia della sinistra alla ricerca del bandolo della matassa, nonostante i ripetuti dinieghi del Capo dello Stato, il desiderio di un Mattarella bis non è mai tramontato. Anzi, riprende quota ora che il centrodestra è unito su Berlusconi. Attenti conoscitori delle cose del Colle fanno notare che l’ipotesi del bis potrebbe essere oggettivamente aiutata anche dall’aggravarsi della situazione pandemica. Oltre che dalla presentazione di una proposta Pd in Senato per abolire il secondo mandato presidenziale. Potrebbe essere un modo per chiedere a Mattarella di restare, per l’ultima volta, il tempo necessario a realizzare la riforma costituzionale. Ma è anche chiaro che in questo caso la condizione imprescindibile sarebbe una maggioranza molto vasta con tutto il centrodestra. Cosa molto difficile, soprattutto dalle parti degli alleati di Berlusconi e della destra di opposizione. “Ci stiamo pensando, magari anche come soluzione se la situazione si dovesse avvitare”, ha sussurrato con la cronista un esponente dem. Così come un altro ha osservato che “comunque sia, Draghi o Mattarella bis o altri, Letta deve saper costruire una vera regia”.

Qualcuno, come avevamo anticipato tra le ipotesi, avrebbe anche pensato, per evitare il ginepraio delle procedure istituzionali nel caso di una candidatura Draghi e andare alla formazione rapida di un nuovo governo, alle dimissioni del premier dopo la legge di Bilancio. E al via un incarico a Franco o chi per lui.

Comunque sia, il punto è che la sinistra ha preso atto del fatto che “la formula Ursula è venuta meno”, ammettono tra i dem. Il leader della Lega non si è infatti staccato dalla maggioranza di emergenza nazionale, come il Pd aveva auspicato. Non a caso, Letta non torna più da tempo sul mantra “Salvini, o stai dentro o stai fuori”. Anzi, Salvini rivendica i risultati ottenuti dal suo partito sul fisco, seppur li reputi solo iniziali e molto parziali e “l’approvazione definitiva in Commissione del mio emendamento per i genitori separati”. Lo stesso leader leghista aveva detto l’altro giorno, in piena sintonia con Berlusconi, che Draghi deve lavorare fino al 2023. E ieri sera a Porta a Porta di Bruno Vespa, dopo aver interpretato come un “passo indietro” del Cav sul Quirinale il suo si al dialogo con Letta – che, come subito precisò il numero due di Forza Italia, Antonio Tajani, era invece solo sulla manovra -, pure Meloni ha dato il suo ok a Berlusconi al Colle. Un’uscita importante che vede a questo punto il centrodestra compatto sull’ex quattro volte premier e presidente di FI.

La partita è appena iniziata. Si sono già aperti borsini dove torna anche il nome di Pier Ferdinando Casini, che secondo i retroscena non dispiacerebbe a Renzi, con la sua Iv ago della bilancia in parlamento. Quel Casini già alleato di Berlusconi nella Casa delle Libertà e che disse in solitudine nel centrosinistra in Senato no al processo a Salvini. Ma se il presidente di Forza Italia, il quale di Quirinale ha detto che parlerà solo a gennaio, sta già di fatto condizionando l’inizio partita, il nome di Casini non sembra gradito al Pd che lo vedrebbe come una vittoria di Renzi. Come in un giro dell’oca si ritorna quindi a Berlusconi e alle mosse ora del centrodestra unito su di lui.

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