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spiri craxi

Quella lezione di diritto di Craxi a Scalfaro contro lo Stato di polizia

Che cosa emerge tra l'altro da ottanta lettere scritte o ricevute dal leader socialista Bettino Craxi fra il 1989 e il 1999

 

Fra i libri, le interviste, i convegni e altro nel venticinquesimo anniversario della morte di Bettino Craxi, il 19 gennaio del 2000 ad Hammamet, qualche settimana dopo un intervento chirurgico per tumore renale, spiccano per curiosità, anche paradossali, ottanta lettere scritte o ricevute dal leader socialista fra il 1989 e il 1999, sino a pochi giorni dalla fine, lettere raccolte e pubblicate dallo storico Andrea Spiri con puntuali riferimenti ai contesti di cronaca politica e giudiziaria in cui esse erano maturate.

Fra queste ottanta lettere spicca a sua volta quella che il 22 luglio 1993, all’indomani del suicidio in carcere di Gabriele Cagliari a Milano, senza tuttavia farvi esplicito riferimento, Craxi volle scrivere al presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, già suo ministro dell’Interno fra il 1983 e il 1987, per sottoporgli “alcuni motivi di riflessione e di allarme” sulla gestione delle indagini e dei processi, in cui egli era ormai convolto, relativi al finanziamento illegale della politica e ai reati presumibilmente connessi di corruzione, concussione, ricettazione e via penalizzando.

Con una precisione di riferimenti giuridici e culturali che lasciano pensare quanto meno al contributo di altri più attrezzati di lui in materia – forse persino del giudice costituzionale e suo amico Giuliano Vassalli, autore della riforma del processo da inquisitorio ad accusatorio sostanzialmente tradita in quel periodo nelle procure e nei tribunali – Craxi scrisse che ormai il cittadino non viveva più in uno “Stato di diritto” ma in uno “Stato di polizia”: Dove solo può accadere ciò che un magistrato “beffardamente” aveva ammesso dicendo: “Non arrestiamo per far parlare. Scarceriamo se parlano”. Cagliari, l’ex presidente dell’Eni e amico personale di Craxi, si era appena ucciso proprio perché convinto di non essere stato scarcerato dopo un interrogatorio per non avere detto ciò che i magistrati volevano.

Craxi scrisse di “Stato di polizia”, preferendolo alla dizione prevalentemente giornalistica di “Repubblica giudiziaria”. Eppure, paradossalmente, proprio a lui era capitato di avere ricevuto il primo avviso di garanzia e insieme la solidarietà dell’allora Capo della Polizia Vincenzo Parisi. Che il 16 dicembre 1992 gli aveva scritto, testualmente: “Illustre signor Presidente, mi consenta di affidare a questo mezzo i sensi della mia più piena solidarietà e della più profonda amarezza per gli avvenimenti di questi giorni”. Nella “certezza che l’intera vicenda non tarderà ad essere riportata alle sue giuste proporzioni e ad essere pienamente e definitivamente chiarita”, Parisi si dichiarava ancora “devoto e riconoscente” per l’appoggio e la fiducia ricevute da Craxi quando era presidente del Consiglio e si accomiatava con “cordiali ossequi”.

Anche come “Stato di polizia” l’Italia era insomma atipica, col Capo della Polizia solidale con la vittima designata dai magistrati. Che ora si dimenano contro una riforma che li contiene.

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