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Capelli Merkel

Quella frangetta birichina di Angela Merkel e la globalizzazione dell’antipolitica

Angela Merkel è tornata sui giornali tedeschi non elogiata ma sbeffeggiata per quanto continua a costare allo Stato per i parrucchieri che le tengono in ordine e in colore i capelli. Peccato che rispetto a quanto riesce (incredibilmente) a spendere l'attuale cancelliere Olaf Scholz si tratti di un'inerzia ma soprattutto peccato per la povera democrazia, assediata ovunque da questo tipo di polemiche. I Graffi di Damato

 

Pur alle prese con le fastidiose tensioni interne ed esterne alla maggioranza sui rapporti con le banche dopo la tassazione dei loro superprofitti per l’aumento dei tassi di interesse, Giorgia Meloni si può consolare assistendo al sorpasso che i tedeschi stanno facendo sull’Italia nell’antipolitica. Che comincia a procurare problemi anche a lei dopo che dalla comoda opposizione è approdata al meno comodo governo, anzi alla sua guida. E per giunta in una prospettiva lunga, di legislatura, viste le condizioni in cui si trovano i suoi avversari di sinistra, o i concorrenti terzopolisti.

Angela Merkel, la ex cancelliera più o meno di ferro, è tornata sui giornali tedeschi non elogiata ma sbeffeggiata per quanto continua a costare allo Stato per i parrucchieri che le tengono in ordine e in colore i capelli, a cominciare da quella frangia birichina che contribuisce ad abbassarle un po’ l’età, specie nella combinazione con l’abito turchese che ha indossato nella sua ultima comparsa pubblica, in occasione di un concerto.

Non la troppa e anch’essa un po’ costosa frequentazione di Putin e dei suoi fornitori di petrolio, ai tempi del potere, ma quella col parrucchiere, fisso o di turno, uomo o donna, rischia quindi di appannare il ricordo della signora che a Berlino ha un po’ diretto l’orchestra europea per tanto tempo, spesso offuscando la commissione esecutiva dell’Unione, a Bruxelles. Nei primi due anni da ex cancelliera la signora ha fatto spendere per i suoi capelli allo Stato tedesco, che continua a finanziarla, 55 mila euro. Che sono un’inezia, per carità, rispetto al milione e mezzo di euro che nel solo 2022 il suo successore Olaf Scholz è riuscito a spendere tra parrucchiere, pure lui, per quanto scarso in capelli, visage e fotografi al seguito. Ma almeno è il cancelliere in carica. La Merkel invece dovrebbe considerarsi in disarmo.

Quest’altro passo avanti della diffidenza e persino ostilità viscerale verso la politica e chi la pratica, provenendo addirittura dalla ricca Germania, che certi lussi potrebbe pure permetterseli col permesso luterano, avrà consolato in Italia Piero Fassino. Che è stato messo letteralmente in croce, a cominciare dalla segretaria del suo partito Elly Schlein, per avere sostenuto nell’aula di Montecitorio, sventolando il cedolino, il carattere tutto sommato parsimonioso dei cinquemila euro scarsi al mese che riscuote di indennità, o stipendio. E il resto, fuori cedolino, altrettanto e di più?, gli hanno chiesto i critici. Ai quali Fassino, il nostro “grissino d’oro”, come lo sfottono nei corridoi parlamentari e nelle redazioni dei giornali, ha risposto ricordando che si tratta solo di benefit o denaro in transito, destinato a collaboratori e spese attinenti alle funzioni parlamentari.

Povero Fassino. E ora povera Merkel. Ma a nessuno viene in mente di dire “povera democrazia” assediata da questo tipo di polemiche, per quanto a livello fortunatamente o finalmente a livello internazionale. Sono gli scherzi, anch’essi, della globalizzazione sotto le stelle: non solo le cinque che Beppe Grillo è riuscito a piazzare nel firmamento tricolore affidandone poi la gestione a Giuseppe Conte. Che dovrà pure avvertire, anche a costo di deludere il suo pubblico, qualche impulso solidaristico nei riguardi della Merkel. Alla quale egli riuscì a strappare quando era presidente del Consiglio – fra un cappuccino e l’altro, o qualche aranciata, in occasione dei summit europei – quel generoso assegno comunitario per la cosiddetta “resilienza” italiana che i suoi successori a Palazzo Chigi non sembrano in grado di spendere bene, e soprattutto in tempo. Ingrati o inetti che sono agli occhi del principe dei nostalgici di Conte a Palazzo Chigi, che è naturalmente Marco Travaglio, il direttore del Fatto Quotidiano e autore del giallo titolato “Conticidio”. Che ancora ieri se l’è presa per la cattiva copiatura che la Meloni avrebbe fatto della sua personale e  anticipatrice proposta di tagliare le unghie alle banche, ben prima che gliele facessero crescere ancora di più i nuovi tassi d’interesse.

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