Pietro Nenni nel lontano 1948, affranto dalla sconfitta elettorale del fronte popolare di socialisti e comunisti, contrappose le piazze piene e le urne vuote.
Piazze piene, a prescindere dalla reale astensione nei posti di lavoro, dalle scuole alle fabbriche, come anche quelle di cui si sono vantati Maurizio Landini e Pierpaolo Bombardieri, i capi rispettivamente della Cgil e della Uil, nella giornata dello sciopero generale contro il governo svoltosi l’altro ieri, 29 novembre.
Urne vuote, con ormai più della metà delle schede in meno rispetto a quelle che dovrebbero contenere per numero di aventi diritto al voto, come accade sempre più frequentemente o abitualmente nelle elezioni di qualsiasi tipo o livello.
Ma né Landini né Bombardieri – quest’ultimo poi anche col cognome ingombrante che porta – avranno l’inconveniente di Nenni di riconoscere la loro sconfitta per il semplice fatto che alle elezioni loro personalmente e i sindacati che hanno alle spalle non partecipano. E se solo le influenzano, riescono forse a farlo contribuendo all’astensionismo, perché in Italia ormai è facile più scioperare che votare.
Nelle poco più di tre settimane che ci separano da Natale i sindacati sono riusciti a programmare scioperi per o in quindici giorni. E come ministro dei Trasporti il vice presidente del Consiglio, Matteo Salvini, riuscirà probabilmente a farsi fotografare di nuovo mentre dispone e firma precettazioni per cercare di proteggere il pubblico incolpevole che dovrà subire gli effetti delle agitazioni. Il che gli procurerà naturalmente altri attacchi dei sindacalisti ma insieme anche altri consensi della gente comune, recuperandone magari un bel po’ rispetto a quelli che perde beccandosi del “paraculetto” da qualche alleato disinibito di governo per il suo modo di parteciparvi.
Il “disinibito” tuttavia spetta anche a Landini per avere voluto vantarsi, nel suo comizio a Bologna, di fare “politica” con i suoi scioperi, come lo accusano critici ed avversari. Ma – ha aggiunto – politica “seria”, per “rovesciare l’Italia come un guanto”, mica quella dei politici non sindacalisti, eletti per governare o fare l’opposizione combattendosi fra di loro ma ritrovandosi insieme a fare cose non serie.
E poi i politici di opposizione, fingendo di non capire il carattere sommario del giudizio di Landini, si affrettano a inseguirne il consenso infilandosi in qualche corteo, come hanno fatto a Roma la segretaria del Pd Elly Schlein e, distanziato di qualche passo, Massimo D’Alema. Che pure da presidente del Consiglio, l’unico post-comunista riuscito ad arrivare a Palazzo Chigi, sia pure per restarvi poco, finì per scontrarsi anche lui col segretario generale di turno della Cgil, Sergio Cofferati. “Il signor Cofferati”, diceva D’Alema del compagno di partito che non gli faceva sconti. Né ne ottenne quando si mise pure lui nella politica poco o per niente seria denunciata da Landini.