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Giorgetti

Quando la smettiamo di chiamare governatori i presidenti delle regioni?

Magari fosse vero quello che sostiene sul Corriere della Sera Aldo Grasso nel “padiglione” domenicale, sia pure col paradosso sottinteso nel suo modo ironico di presentare una realtà complessa come quella dei rapporti fra lo Stato e le regioni, messi così a dura prova nella gestione della pandemia. Tanto duramente che pochi giorni fa, e…

Magari fosse vero quello che sostiene sul Corriere della Sera Aldo Grasso nel “padiglione” domenicale, sia pure col paradosso sottinteso nel suo modo ironico di presentare una realtà complessa come quella dei rapporti fra lo Stato e le regioni, messi così a dura prova nella gestione della pandemia. Tanto duramente che pochi giorni fa, e proprio sul Corriere, il vignettista Emilio Giannelli ha attribuito al generale degli alpini Francesco Figliuolo, ma anche al presidente del Consiglio Mario Draghi, la voglia di mettere finalmente in riga i presidenti regionali e farli sfilare al passo dell’oca, magari davanti a Palazzo Chigi.

Per rimettere in riga, in ordine e altro ancora i presidenti delle regioni basterebbe, o si dovrebbe almeno cominciare col chiamarli, secondo Aldo Grasso, con la loro vera e unica qualifica, che è appunto quella di presidenti, non di “governatori”. Come ci siamo abituati invece a definirli facendo loro perdere la testa e mettendoli così quasi in naturale, psicologica competizione col presidente del Consiglio di turno, il generale anche lui di turno messo magari avventatamente, secondo alcuni, alla testa di una struttura commissariale, il presidente della Repubblica e chissà chi altro.

Noi giornalisti dovremmo naturalmente assumerci, nel ragionamento da padiglione del severo collega del Corriere, le nostre responsabilità per l’uso ormai corrente che facciamo di quella qualifica impropria, anzi arbitraria, senza neppure avere il pretesto delle “battute” per giustificare quel “governatore” preferito al “presidente” persino o soprattutto nei titoli. Quanto a battute, infatti, che più sono e più complicano la confezione di un titolo, il governatore è persino più lungo del presidente, sia pure di uno spazio soltanto, tecnicamente parlando.

In verità, non per sembrarvi lombrosiano, più guardo le foto del presidente della Lombardia, Attilio Fontana, cui si fa un processo più o meno mediatico e politico ogni giorno, per quanto la sua regione sia la più ricca di tutte e disponga quindi di più mezzi, più il personaggio mi sembra un sequestrato dall’emergenza, piuttosto che un esaltato e un potenziale prevaricatore nel rapporto con lo Stato. Non parliamo poi di quando guardo le immagini fotografiche e televisive del presidente di regione, diciamo così, più imprevedibile ed energico come si sforza di apparire nella sua Campania e altrove Vincenzo De Luca, però facendo spesso più ridere che paura, in concorrenza con le imitazioni praticate dal comico Maurizio Crozza.

Il problema purtroppo è un po’ più serio, maledettamente serio, di quanto il buon Grasso per consolarsi, e consolarci, mostri di credere. Il problema è nella confusione creata in materia di competenze regionali dalle modifiche apportate nel 2001 alla Costituzione. Alla quale un esperto, uno studioso, un giurista come Sabino Cassese ha appena applicato questi aggettivi: “Promessa…e poi dimenticata, elusa, a volte tradita” nella presunzione di migliorarla, e purtroppo senza neppure “rafforzare lo Stato”, come ha invece scritto Cassese, e tanto meno “la società”, come questa volta egli ha giustamente osservato da giudice emerito della Corte Costituzionale ed ex ministro della Funzione Pubblica, con tutte le maiuscole che le spettano ma non sempre essa merita, né a livello locale né purtroppo a livello centrale.

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