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Quale sarà la cultura politica della maggioranza giallo-rossa? Il pensiero di Ocone

“Ocone's corner”, la rubrica settimanale di Corrado Ocone, filosofo e saggista.

 

Tutto si può imputare a Steve Bannon ma non di non essere una persona colta e visionaria (cfr, Joshua Green, Il diavolo. Steve Bannon e la conquista del potere, con postfazione di Giovanni Orsina, Luiss University Press). E bisogna dargli atto anche di avere il coraggio di prendere atto della realtà, quando questa presenta i conti. Era stato lui in qualche modo a sponsorizzare e a dare una “base culturale” allo “strano caso” del governo gialloverde nato in Italia da un “contratto” fra due forze politiche apparentemente molto lontane tra loro.

Ma, dopo poco più di un anno, in un’intervista concessa a fine luglio al settimanale “7” del Corriere della sera, Bannon ha preso atto con onestà intellettuale che il “matrimonio” non aveva “funzionato” e che il “nobile esperimento” era fallito. Solo qualche giorno dopo, Matteo Salvini avrebbe aperto la più strana crisi di governo mai avvenuta nel nostro Paese (che un tempo al massimo stemperava le conflittualità con dei “governi balneari” che rimandavano a settembre ogni redde rationem).

Il pazzo agosto italiano si sarebbe poi concluso con il colpo di grazia inferto a un Salvini già abbondantemente “suonato” proprio da quel Donald Trump di cui Bannon era stato consigliere e a cui sembrerebbe che ora si stia riavvicinando.

La forza del governo gialloverde risiedeva, a mio avviso, in una sorta di rivendicazione del primato della politica in un momento in cui, soprattutto a livello internazionale, quella che è la più nobile (e “democratica”) delle attività umane veniva espropriata, da una parte, da un diritto sovranazionale fortemente eticizzato e, dall’altra, da un’economia a base neoliberista e finanziaria che poco aveva a che fare con la sintesi liberale classica (e a ben vedere nemmeno col pensiero di Friedrich von Hayek a cui spesso si richiamava). Una sintesi liberal e liberista e non liberale, laddove il liberalismo come chi scrive lo ha sempre concepito ha di necessità un rapporto coessenziale col conflitto, cioè con la politica, e con la storia e la tradizione (al di là di ogni astratto illuminismo e progressismo).

Nella storia nulla succede a caso e, probabilmente, i tempi non erano maturi, anche per una evidente insipienza politica dei protagonisti, a fatica temperati dal premier Giuseppe Conte, per il successo dell’“esperimento” tentato. Ora però, con l’affacciarsi del governo giallorosso, il rischio concreto è che proprio la sintesi liberal-liberista riprenda vigore. O meglio che la riprenda quella parte liberal di essa che era stata la cifra degli ultimi governi del Pd.

A partire da un certo momento, si era infatti visto prendere spazio proprio quella ideologia “dirittistica” che aveva connotato gli esecutivi di Matteo Renzi prima e di Paolo Gentiloni poi più in senso liberal che socialdemocratico classico. Il fatto però che il Pd sia tutto sommato una forza minoritaria nella nuova maggioranza che va a delinearsi, e che la cultura di Giuseppe Conte, che dovrebbe guidare anche questo governo, sia più vicina al solidarismo e all’umanesimo cristiani che non alla cultura liberal, lascia uno spiraglio per chi ritiene che sia giusto muoversi in altra direzione.

Molto dipenderà però anche da come evolveranno gli scenari internazionali, sia dal punto di vista economico sia da quello politico. In ogni caso, è indubbio che, per chi sa viverli e pensarli, nostri tempi continuano ad essere interessanti.

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