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Qual è l’errore della Corte penale internazionale su Netanyahu

Con il mandato di arresto (del tutto inefficace nella pratica) di Netanyahu, la Corte rischia di rivelarsi un atto politico e perciò fonte soprattutto di polemiche. Il taccuino di Guiglia

L’accusa è gravissima: crimini di guerra e contro l’umanità. La decisione è senza precedenti, non solo perché presa dalla Corte penale internazionale riconosciuta da 124 Paesi (compresa l’Italia, dove quest’organismo ha visto la luce, a Roma, nel 1998), ma perché il destinatario, con tanto di richiesta d’arresto, è nientemeno che il primo ministro d’Israele, Benjamin Netanyahu. Assieme all’ex ministro della Difesa, Yoav Gallant, pure lui inseguito da un mandato di cattura, è incolpato di quanto è accaduto nella Striscia di Gaza “dall’8 ottobre 2023 fino almeno al 20 maggio 2024”, cioè il giorno in cui la Procura ha depositato la domanda del mandato d’arresto. La Corte ha richiesto l’arresto pure di funzionari di Hamas, l’organizzazione terroristica che scatenò la strage degli innocenti in Israele il 7 ottobre dell’anno scorso, tra i quali il capo militare noto come Deif. Ma le autorità israeliane sostengono di averlo ucciso in un bombardamento nel luglio scorso (circostanza mai confermata da Hamas).

Che la guerra in Medio Oriente si sarebbe presto trasformata anche in un conflitto giuridico dall’inevitabile risvolto politico (nel mondo c’è già chi esulta e chi, all’opposto, s’indigna per la decisione), era prevedibile.

Anche le persone più pacifiche dell’universo, come Papa Francesco, e tutti i governi occidentali, ossia non ostili ad Israele e da sempre favorevoli alla soluzione dei “due popoli, due Stati”, da tempo deplorano con forza la sproporzione nella giusta reazione dello Stato ebraico contro i terroristi che ne contestano, con la violenza, la sua stessa esistenza.

Per come è stata impostata e realizzata, inevitabilmente la reazione israeliana avrebbe e ha finito per coinvolgere e colpire a morte e ferire anche bambini, donne e anziani a Gaza, ossia civili palestinesi altrettanto innocenti di quelli israeliani massacrati dalla barbarie di Hamas.

Con ogni evidenza la Corte si fa paladina di questa situazione, ma con una decisione – il mandato di arresto – che, essendo del tutto inefficace nella pratica, rischia di rivelarsi un atto politico e perciò fonte soprattutto di polemiche. A partire dal fatto che si mette sullo stesso piano il primo ministro di una democrazia, dove i cittadini votano e protestano in libertà (anche contro il loro primo ministro) e il capo di un terrorismo che il 7 ottobre ha compiuto un crimine contro l’umanità senza bisogno che a doverlo certificare sia un tribunale.

“La decisione è stata presa da un procuratore capo corrotto che sta tentando di salvarsi da serie accuse di molestie sessuali e da giudici di parte mossi da odio antisemita”, attacca Netanyahu. “La Corte deve svolgere un ruolo giuridico e non politico, valuteremo questa decisione coi nostri alleati”, è la prudente reazione del nostro ministro degli Esteri, Antonio Tajani. Che fare per arrivare almeno a una tregua nel Medio Oriente in fiamme, è la grande, irrisolta questione che resta sul tavolo di governi e diplomazie.

(Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova)

www.federicoguiglia.com

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