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Qual è la vera Elisabetta Belloni?

Che cosa dice, che cosa non dice e come si contraddice (forse) Elisabetta Belloni, direttrice dimissionaria del Dis, la struttura di coordinamento dei Servizi segreti.

Qual è la vera Elisabetta Belloni? Quella che sussurra a Repubblica o quella che parla al Corriere della sera?

Le tue domandine via WhatsApp stamattina, caro direttore, mi hanno colto impreparato, perché io alle 6 sto ancora leggendo i giornali americani e francesi. Quindi con tutta calma sono passato ai quotidiani italiani, ho riletto il pezzone di ieri di Carlo Bonini (e dico Bonini, una star di Repubblica su cose di Servizi segreti e dintorni) frutto di una lunga chiacchierata con la direttrice dimissionaria del Dis, ovvero con la struttura di coordinamento della presidenza del Consiglio sui Servizi, e ho letto la lunghissima conversazione della medesima Belloni con la vicedirettrice del Corriere della Sera, Fiorenza Sarzanini (e dico Sarzanini, massima esperta di Intelligence e dintorni del quotidiano Rcs).

Le tue sollecitazioni, lo devo riconoscere per una volta, non erano peregrine, in effetti.

Su Repubblica ieri emergeva una Belloni imbufalita e indignata con un governo di fatto brutto, sporco e cattivo.

Sul Corriere della sera oggi emerge una Belloni istituzionale, dedita alla concordia: non ho sbattuto alcuna porta, ecc.

Ma ti confesso: nessuna contraddizione, nessuna stranezza. Belloni è così, una e trina, è qui e anche lì, è con te, è con tutti e si vuole molto bene. Quindi, dopo la chiacchierata con il giornale di opposizione si è affidata al giornale istituzionale: un colpo al cerchio e uno alla botte.

Ma nello sforzo entusiasmante di piacersi, lascia una traccia inequivocabile. Leggo dal titolone del Corrierone: “Belloni: «Tensioni con Tajani e Mantovano? Non è necessario piacere a tutti»”.

Praticamente Belloni certifica che il capo del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (appunto il Dis) non aveva più ottimi rapporti con i due principali interlocutori istituzionali: presidenza del Consiglio (Alfredo Mantovano, sottosegretario con delega ai Servizi) e ministero degli Esteri (Tajani).

La faccenda si poteva risolvere quindi con dimissioni paciose a poche settimane dalla scadenza naturale e distinti saluti. Invece no: chiacchieratona con Repubblica, intervistona con il Corriere della sera; magari in nome di antichi e proficui rapporti professionali.

In fondo ti mando un estratto delle due produzioni giornalistiche così i lettori di Startmag possono “conoscere per deliberare” come diceva mi pare Luigi Einaudi.

La questione, però, caro direttore, non possiamo archiviarla così. Perché Belloni che sparla, parla e riparla non è un sottosegretario di un dicastero di serie B o C che ha perso la fiducia del ministro, non è il direttore generale di un ente pubblico prossimo alla chiusura perché inutile, no: è il direttore-coordinatore dei due Servizi segreti di questo paese.

E invece i segreti sono sussurrati, esternati, disquisiti, dibattuti: ma più si dice e meno si dice.

Ecco: mi sarei aspettato – visto che mi consideri una sorta di esperto del ramo per aver fatto del comparto alcuni decenni fa in posizioni di seconda fila, diciamo – una sobrietà e una discrezione, ovvero un’assenza di ribalta, da servitore dello Stato qual è l’ambasciatrice Belloni.

Ma anche i servitori dello Stato, evidentemente, cambiano.

Saluti,

Francis Walsingham

Ps: le tue domande stamattina le ho girate a un mio antico amico e collega che orecchia più di me le cose italiane del settore. Mi ha mandato poco fa una risposta-non risposta ma forse indicativa: “Dell’intelligence a Nonna Betta non glien’è mai fregato nulla, né lascia impronte epocali come fece De Gennaro. Dunque l’intelligence non potrà che giovarsi della sua uscita”.

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ESTRATTO DELL’ARTICOLO DI REPUBBLICA SU ELISABETTA BELLONI:
«Non ne potevo più, perché trascinare le cose così non era giusto e non aveva senso». Nelle parole che Elisabetta Belloni, direttrice dimissionaria del Dipartimento per le informazioni della sicurezza (Dis), con la garbata sincerità che le è propria, va ripetendo a chi la cerca privatamente per afferrare il senso di una decisione, ci sono due verità. La storia di una dissipazione politica e la presa d’atto, amarissima, di aver visto infrangersi una scommessa. Che solo una riserva della Repubblica come questa diplomatica di lungo corso, romana di 66 anni, colta, rigorosa, e dalla formidabile rete di relazioni istituzionali e personali costruita nel tempo nei suoi diversi incarichi apicali alla Farnesina (capo dell’unità di crisi, direttrice generale per la cooperazione e lo sviluppo, segretaria generale), aveva sinceramente pensato di poter vincere quando Giorgia Meloni aveva raccolto l’eredità del governo Draghi chiedendole di restare al suo posto. Per la sintonia che avevano trovato, per la stima, tutt’altro che nascosta che la nuova premier, dieci mesi prima di prendersi il Paese, aveva manifestato nei suoi confronti, al punto da averla sostenuta nella candidatura alla presidenza della Repubblica nata e tramontata nello spazio di una notte.
E bisogna dunque immaginarla la solitudine di questa donna che alla vigilia di Natale – le sue dimissioni sono datate 22 dicembre – nel silenzio del suo buen retiro in campagna con i suoi amatissimi cani, non solo constata che la sua decisione di fare un passo indietro non susciti alcuna fibrillazione nel governo e nella premier che non sia quella della gestione del segreto sui tempi e le ragioni della sua uscita. Ma che quell’annunciato passo indietro si traduca addirittura nel ritenere superfluo da parte di Palazzo Chigi anche solo coinvolgerla nei primi decisivi giorni di discussione sulle strategie da definire nella gestione dell’arresto in Iran di Cecilia Sala. È vero, aveva deciso e comunicato la sua intenzione di lasciare il Dis, ma nessuno in quei giorni che si trascinano fino al 26 dicembre – né il sottosegretario con delega ai servizi Alfredo Mantovano, né la premier, per non dire del ministro degli Esteri Tajani – riterrà opportuno alzare il telefono per ascoltarne il parere.
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ESTRATTO DELL‘INTERVISTA DEL CORRIERE DELLA SERA A ELISABETTA BELLONI:

«Una cosa ci tengo a dirla ed è l’unico motivo che mi fa rompere il riserbo che mi sono imposta in tutti questi mesi: non vado via sbattendo la porta». Il piglio e la determinazione di Elisabetta Belloni non sembrano scalfiti.

Le date sono importanti e allora vale la pena tornare all’11 dicembre quando l’Italia passa il testimone della presidenza del G7 e dunque termina anche l’incarico di Belloni. Lei, che in ogni momento cruciale nella storia del Paese è sempre stata indicata come la possibile candidata, spiega di aver capito che anche con il nuovo anno «sarei tornata sulla graticola». Prima dell’elezione di Sergio Mattarella al Quirinale fu proprio quello di Belloni il nome accreditato dal centrodestra come presidente della Repubblica. E anche dopo la caduta del governo Draghi ci fu chi la inserì nella rosa dei possibili capi del nuovo esecutivo.

È accaduto di nuovo a dicembre, quando il ministro al Pnrr Raffaele Fitto è stato nominato vicepresidente della Commissione europea e le indiscrezioni davano come ormai imminente la designazione di Belloni al suo posto. Prima di una girandola di altre voci che accreditavano però la contrarietà del ministro degli Esteri Antonio Tajani e il suo cattivo rapporto con il sottosegretario Alfredo Mantovano, titolare della delega ai servizi segreti. Prese di posizione che avrebbero alla fine convinto tutti sulla necessità di fare una marcia indietro suonata come una vera e propria bocciatura. È stato soprattutto questo a disturbarla e convincerla che per lei «gli ultimi mesi di mandato sarebbero stati un vero e proprio stillicidio».

Le tensioni dell’ultimo anno non può smentirle, sa bene di aver scatenato nel corso della carriera invidie e avversioni. «Ma io sono un funzionario dello Stato, faccio il mio lavoro e non è obbligatorio piacere a tutti o andare d’accordo con tutti. Purché questo non metta in discussione i risultati, come infatti non è avvenuto. Però a maggio scade il mio mandato, quando ho avvertito che già cominciavano a circolare voci sul mio futuro e soprattutto sul mio successore ho ritenuto fosse arrivato il momento di lasciare. E ne ho parlato con i miei interlocutori istituzionali, prima fra tutti la premier Giorgia Meloni e il sottosegretario Mantovano. È con loro che, sin dagli inizi di dicembre, abbiamo tracciato la strada per una transizione tranquilla e senza scossoni».

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