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Lobbying

Qatargate, ecco cosa non funziona nella normativa europea sul lobbying

La corruzione, che ha portato al Qatargate, non dipende dall’azione di lobbying di per sé ma dall’assenza di trasparenza che connota la maggior parte dei processi decisionali, a cui spesso prendono parte solo i più potenti. Un estratto dell'articolo di Pier Luigi Petrillo, professore di Teoria e tecniche del lobbying, Luiss Guido Carli, per il quotidiano Domani

 

L’indagine sulle presunte tangenti pagate dal Qatar a esponenti del parlamento europeo ha riportato all’attenzione dell’opinione pubblica il tema della regolamentazione dei rapporti tra lobby e decisori pubblici.

Partiamo da un dato di fatto: l’azione posta in essere dai gruppi di pressione al fine di influenzare i processi decisionali è strettamente connessa alla natura democratica di uno stato.

LOBBYING È DEMOCRAZIA

Un sistema democratico, per essere tale, necessita di un dialogo continuo e trasparente tra decisore pubblico e lobby consentendo, a queste ultime, di intervenire nel processo decisionale.

L’aspetto critico di tale relazione non risiede nella natura “negoziata” dell’atto conseguente al processo decisionale, ma nel modo in cui i vari interessi sono sintetizzati nella decisione finale.

È proprio in questo “modo” che si cela il rischio corruzione che, tuttavia, non dipende all’azione di lobbying di per sé ma dall’assenza di trasparenza che connota la maggior parte dei processi decisionali e dall’elevata probabilità che, a intervenire nel processo decisionale, non siano tutti coloro che ne hanno interesse ma solo i più potenti.

BRUXELLES PARADISO DEI LOBBISTI

Per ovviare a tali fenomeni degenerativi servono norme puntuali. A Bruxelles queste regole ci sono e consentono oggi di conoscere come i lobbisti intervengono su parlamento, Commissione e Consiglio.

Secondo un accordo siglato tra le tre istituzioni ed entrato in vigore a giugno 2021, i lobbisti che intendano organizzare incontri o avere contatti con i decisori pubblici al fine di influenzare le politiche dell’Unione, sono tenuti a iscriversi a un registro pubblico e a rispettare numerose regole di trasparenza. Le medesime regole valgono per i decisori pubblici europei che incontrano i lobbisti iscritti.

La normativa ha però due loopholes, due scorciatoie: in primo luogo, gli obblighi di trasparenza non si applicano a chi rappresenta gli interessi di stati anche di paesi terzi, di partiti politici e di sindacati coinvolti nel dialogo sociale europeo.

In secondo luogo, agli ex parlamentari non si applicano le norme che vietano l’assunzione di incarichi in conflitto di interesse appena cessato il mandato (il così detto “revolving door”).

Sono queste “scappatoie” normative ad avere alimentato – stando alle ricostruzioni giornalistiche – il terreno della corruzione nello scandalo emerso in questi giorni.

(Qui la versione integrale pubblicata su Domani)

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