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Sanzioni Russia

Putin vincerà a Kiev ma non potrà festeggiare, ecco perché

Che cosa succederà a Kiev. Il punto di Gianmarco Volpe, global desk chief di Agenzia Nova

 

PUTIN, KIEV E GLI SCENARI

Più trascorrono le ore, più le cose paiono mettersi male. Un convoglio chilometrico russo si dirige in queste ore verso in una Kiev coperta di neve: Mosca tenta la spallata definitiva. È difficile, comunque andrà, liberarsi dalla sensazione che questo conflitto stia andando in una direzione che la Russia non voleva e, forse, non aveva messo in preventivo.

I calcoli di Putin si basavano su due assunti che, come abbiamo visto, si sono rivelati errati. Il primo è che l’esercito ucraino si sarebbe sciolto di fronte all’avanzata russa: così era successo nel Donbas nel 2014, e del resto senza sparare un colpo la Russia era riuscita ad annettersi la Crimea nello stesso anno. In questi otto anni, però, le forze armate ucraine si sono evolute, addestrate, armate con l’Occidente, e contano su mezzo milione di uomini con esperienza di combattimento sul fronte orientale. Gente abituata ad affrontare un nemico meglio equipaggiato (a differenza dei russi, che al massimo si sono sporcati gli scarponi in città siriane già spianate dai bombardieri). Soprattutto, gente che combatte per permettere la sopravvivenza del suo Paese, che lavora per alimentare il mito della resistenza nazionale. Dall’altra parte, militari di professione che combattono per la promessa di un appartamento in un complesso residenziale di periferia. E che, a quanto pare, mostrano pure una certa ritrosia ad aprire il fuoco contro uomini che parlano la stessa lingua, pregano lo stesso Dio e che assomigliano in tutto e per tutto ai loro amici, ai loro fratelli. Anche in quest’ottica va letta la scelta dei generali russi di ricorrere alla carne da macello cecena, gente che agli ucraini non assomiglia affatto e che tende ad andare poco per il sottile.

La seconda cosa sulla quale Putin si è sbagliato è che l’Occidente si sarebbe spaccato. Aveva tante ragioni per crederlo. Aveva registrato timide reazioni dalle cancellerie occidentali quando era entrato in Georgia e quando aveva annesso la Crimea. Di recente aveva visto gli Stati Uniti interessarsi il giusto alle vicende europee, la Brexit, l’arrivo alla Casa Bianca di un presidente che – diciamo così – non incarna esattamente un’idea di vigore e risolutezza, l’angoscioso fuggi fuggi dall’Afghanistan, il litigio tra Usa e Francia sui sottomarini nucleari all’Australia. L’attacco a Kiev giunge dopo tutto questo, ma ha innescato un processo contrario. Non so se è l’11 settembre europeo, come scrive Foreign Policy, ma mi pare chiaro che Putin abbia fornito all’Europa quel nemico comune di cui questa aveva bisogno per compiersi come soggetto geopolitico, con una politica estera e di difesa comune. Le sanzioni economiche erano state preventivate dal Cremlino, anche se forse non in questa misura, ma l’invio di armi in Ucraina per centinaia di milioni di euro rappresenta un punto di non ritorno. Non solo nelle relazioni tra la Russia e l’Europa, quelle ormai già compromesse, ma anche nelle pieghe di un conflitto al quale Mosca – a meno che non riesca subito a mettere in sicurezza i confini occidentali dell’Ucraina – deve ora porre fine nel più breve tempo possibile.

A Kiev Putin riuscirà magari a entrare, ma solo per trovarci la sua tomba politica. Forse la sua tomba e basta, perché se è vero che la storia conta ancora qualcosa va detto pure che a Mosca da qualche secolo a questa parte la sostituzione dei leader segue un copione piuttosto preciso: un raffreddore, una dacia, un cadavere esposto nella Piazza Rossa.

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