Più o meno dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina sentiamo citare l’ex segretario di Stato Usa Henry Kissinger, per molti vero e proprio oracolo della politica estera, per dimostrare che Putin ha ragione e la colpa è degli americani che volevano far entrare Kiev nella Nato. Questo perché in un articolo del 2014 per il Washington Post – molto citato, ma poco letto e ancor meno compreso – Kissinger aveva suggerito al governo Usa di non spingere Kiev a far parte della Nato. Quanto basta per sentirci rivolgere la polemica domanda: anche lui è putiniano? Ovviamente no, siete voi i putiniani, non Kissinger.
Di quell’articolo viene citato di solito un solo passaggio, quello in cui l’ex segretario di Stato in effetti avvertiva che “trattare l’Ucraina come parte del confronto Est-Ovest, spingerla a far parte della Nato, affosserebbe per decenni ogni prospettiva di integrare la Russia e l’Occidente – e in particolare la Russia e l’Europa – in un sistema internazionale cooperativo”, e suggeriva che “una saggia politica statunitense cercherebbe un modo per far cooperare tra loro le due parti del Paese. Dovremmo cercare la riconciliazione, non il dominio di una fazione”.
Tuttavia, si dimentica di ricordare che in quell’articolo Kissinger avanzava la proposta di una Ucraina come “ponte” tra est e ovest. Una proposta rivolta tanto a Washington quanto a Mosca, così come le sue critiche erano rivolte all’una e all’altra. Ma la sua prospettiva era ed è fermamente occidentale, non putiniana: alla base infatti c’è il riconoscimento dei principi dell’autodeterminazione del popolo ucraino e della integrità territoriale del Paese.
L’ex segretario di Stato non si limitava a suggerire di non far entrare Kiev nella Nato, come sembrerebbe dalle citazioni parziali e fuorvianti di questi mesi. La sua era una proposta articolata in quattro punti: 1) “L’Ucraina dovrebbe avere il diritto di scegliere liberamente le sue associazioni economiche e politiche, inclusa quella con l’Europa”; 2) “non dovrebbe entrare nella Nato”; 3) dovrebbe avere un governo espressione della “volontà popolare” e una “postura internazionale paragonabile a quella della Finlandia”; 4) “L’annessione della Crimea da parte della Russia è incompatibile con le regole dell’ordine mondiale esistente”.
L’unico difetto a nostro avviso era di non riconoscere che i “progetti” del Cremlino per l’Ucraina erano già molto oltre: quando quell’articolo veniva pubblicato, infatti, Putin aveva appena posto il veto all’associazione di Kiev con l’Ue e il presidente ucraino, il filorusso Yanukovich, si avviava ad instaurare un regime alla Lukashenko. Putin non si sarebbe accontentato del “modello Finlandia”, pretendeva il controllo completo, politico ed economico, del Paese.
In ogni caso, se proprio si vuole assumere come riferimento il pensiero di Kissinger, bisogna constatare che dei quattro principi elencati nell’articolo, Putin ne ha calpestati tre, mentre la questione dell’ingresso di Kiev nella Nato è tornata d’attualità – ma in realtà congelata – solo dopo l’annessione della Crimea e la guerra scatenata da Mosca nel Donbass nel 2014.
Bisogna ricordare, infatti, che la proposta di Kissinger di una Ucraina come “ponte est-ovest” (no ingresso nella Nato, ma sì associazione con l’Ue) era a portata di mano nel novembre 2013, quando proprio Putin fece saltare il banco. Non perché Kiev stesse per entrare nella Nato. L’ipotesi era ormai tramontata, non solo per la contrarietà europea al vertice Nato di Bucharest nel 2008, ma anche perché dal 2010 era presidente il filorusso Yanukovich (che nel 2012 aveva conquistato, anche se di poco, la maggioranza parlamentare, dopo aver incarcerato la leader dell’opposizione). Yanukovich era dunque una garanzia per Mosca con riguardo al temuto ingresso nella Nato. Ma non contento, Putin fece naufragare l’accordo di associazione con l’Unione europea. Da qui Euromaidan e la defenestrazione di Yanukovich. Fatti che abbiamo ricostruito più nel dettaglio in un precedente articolo.
L’articolo di Kissinger si è rivelato profetico su ciò che sarebbe accaduto alla Russia se avesse cercato di riprendersi l’Ucraina con la forza: “La Russia deve accettare che tentare di costringere l’Ucraina a diventare un satellite, e quindi spostare di nuovo i confini della Russia, condannerebbe Mosca a ripetere la sua storia di cicli che si autoavverano di pressioni reciproche con Europa e Stati Uniti”; “la Russia non sarebbe in grado di imporre una soluzione militare senza isolarsi”; “Putin dovrebbe rendersi conto che, qualunque siano le sue lamentele, una politica di imposizioni militari produrrebbe un’altra Guerra Fredda”.
In un colloquio con Edward Luce del Financial Times, lo scorso 7 maggio a Washington, l’ex segretario di Stato Usa è tornato a parlare della questione ucraina, e naturalmente a dire la sua sulla guerra in corso, sostanzialmente confermando la sua visione, che non giustifica affatto le scelte di Putin.
Kissinger osserva che Putin “ha calcolato male la situazione che ha dovuto affrontare a livello internazionale e ovviamente ha calcolato male le capacità della Russia di sostenere un’impresa così importante”. E, aggiunge, “quando arriverà il momento della soluzione, tutti devono tenerlo in considerazione, che non torneremo alla relazione precedente, ma a un posizione per la Russia che sarà diversa per questo motivo, e non perché lo richiediamo noi, ma perché lo hanno prodotto loro”.
Riguardo i possibili sviluppi della guerra, spiega che “bisogna cercare di capire qual è la linea rossa interna per la controparte”. La domanda ovvia quindi è: “Per quanto tempo continuerà la guerra e quanto spazio c’è per un’ulteriore escalation? Oppure, ha raggiunto il limite delle sue capacità e deve decidere a che punto un’escalation metterà a dura prova la sua società, al punto da limitare la sua idoneità a condurre in futuro la politica internazionale come una grande potenza”.
L’ex segretario di Stato non sa collocare quel punto. Ma quando verrà raggiunto, si chiede, Mosca “passerà ad una categoria di armi che in 70 anni di loro esistenza non sono mai state utilizzate? Se quella linea verrà superata, quello sarà un evento straordinariamente significativo. Perché non abbiamo esaminato a livello globale quali sarebbero le prossime linee di demarcazione”. Ma “una cosa che non potremmo fare – avverte – è semplicemente accettarlo”.
Sulle motivazioni di Putin, Kissinger si limita a riportare convinzioni e sentimenti del presidente russo registrati durante i loro numerosi incontri, ma senza mostrare di concordare con essi. “Le sue convinzioni sono basate su una sorta di fede mistica nella storia russa”, Putin “si sentiva offeso, non da qualcosa che abbiamo fatto all’inizio, ma da questo grande gap che si era aperto con l’Europa e l’Est. Si sentiva offeso e minacciato perché la Russia era minacciata dall’assorbimento di tutta questa area nella Nato”. “Ma questo – precisa Kissinger – non giustifica e non avrei previsto un attacco dell’entità della conquista di un Paese riconosciuto”.
Riguardo il rischio da molti paventato di una saldatura dell’asse Cina-Russia, Kissinger si mostra piuttosto cauto. Naturalmente ricorda la sua politica di apertura alla Cina per allontanarla dall’Unione Sovietica negli anni ’70: “La nostra opinione nell’aprirci alla Cina era che non era saggio, quando si hanno due nemici, trattarli esattamente allo stesso modo”. Ma ricorda anche che “ciò che ha prodotto l’apertura sono state le tensioni che si sono sviluppate autonomamente tra Russia e Cina”. Cioè, allora Washington approfittò di tensioni già esistenti. Oggi, spiega, “non possiamo generare possibili disaccordi, ma le circostanze lo faranno… la storia fornirà opportunità in cui possiamo applicare l’approccio differenziato”.
Quella tra Russia e Cina, aggiunge Kissinger, “non mi sembra una relazione intrinsecamente permanente”. “Non è naturale che Cina e Russia abbiano interessi identici su tutti i problemi prevedibili. (…) Dopo la guerra in Ucraina, la Russia dovrà rivalutare almeno il suo rapporto con l’Europa e il suo atteggiamento generale nei confronti della Nato”.
“Ciò – avverte – non significa che uno dei due diventerà intimo amico dell’Occidente, significa solo che su questioni specifiche che si presentano lasciamo aperta la possibilità di avere un approccio diverso. Nel periodo che ci attende, non dovremmo raggruppare Russia e Cina come un elemento integrante”.
Ma Kissinger non dà per saldato l’asse Mosca-Pechino, soprattutto guardando alla deludente performance russa in Ucraina: “Sospetto che qualsiasi leader cinese ora rifletterebbe su come evitare di entrare nella situazione in cui si è cacciato Putin e su come trovarsi in una posizione in cui, in qualsiasi crisi che potrebbe sorgere, non avrebbe contro una parte importante del mondo”.
Sul tema del confronto ideologico tra democrazie e autocrazie, Kissinger non ritiene, al contrario di molti realisti, che la natura dei regimi debba essere tenuta fuori dalle valutazioni e decisioni di politica estera, ma ha piuttosto un approccio equilibrato, crede che non sia saggio assolutizzare le differenze ideologiche:
“Dobbiamo essere consapevoli delle differenze di ideologia e di interpretazione che esistono. Dovremmo usare questa coscienza per applicarla nella nostra analisi dell’importanza delle questioni man mano che sorgono, piuttosto che farne la principale questione di confronto, a meno che non siamo disposti a fare del cambio di regime l’obiettivo principale della nostra politica. Penso che data l’evoluzione della tecnologia e l’enorme distruttività delle armi che ora esistono, [un cambio di regime] può essere imposto dall’ostilità degli altri, ma dovremmo evitare di generarlo con i nostri atteggiamenti”.