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Prove tecniche di ritorno alla normalità dopo la quarantena

Il "Diario" di Carla Falconi

L’AUTOBUS

Il servizio di un tg ha trasmesso le immagini di un autobus alle 5 e trenta del mattino. Periferia di Milano. Bus diretto verso il centro. I passeggeri salgono distanziati, ordinati, una parte di loro si siede lasciando più della metà dei posti vuoti, gli altri si dispongono in piedi. La giornalista sottolinea che tutti portano la mascherina e i guanti come stabilito dalle procedure per la fase due. La giornalista fa notare che forse i passeggeri sono di più di quelli consentiti dalle nuove disposizioni e che per un corretto distanziamento avrebbero dovuto aspettare l’autobus successivo. La giornalista ricorda che l’azienda dei trasporti sta studiando un piano per aumentare il numero delle corse. La giornalista precisa che lo spazio tra quelli in piedi in alcuni casi è inferiore a un metro e mezzo. I passeggeri sono quasi tutti giovani maschi di colore e alle cinque e mezza sono già saliti sull’autobus diretto verso il centro. Ma questo la giornalista non lo fa notare. E non fa notare neppure che i passeggeri per raggiungere la fermata dell’autobus delle cinque e mezza devono essersi alzati almeno alle quattro. La giornalista è molto meticolosa nel suo puntuale servizio in cui contano solo i centimetri, le distanze, i guanti e le mascherine. Conta solo l’ordine del Virus.

 IL BAR

In quello sotto casa, ristrutturato di recente con questo gusto moderno minimalista che a Milano è già fuori moda, hanno messo un piccolo semaforo all’ingresso, con due lucine una rossa e una verde che ovviamente hanno lo stesso significato del vero semaforo. Si entra, si segue un percorso sotto l’occhio vigile della cassiera rumena che ha sempre avuto uno stile marziale e che, in questa nuova situazione, mi è sembrata più a suo agio del solito. Lungo il bancone, protetto da una serie di pannelli trasparenti di plexiglass, (fino a qualche mese fa la plastica era un reato, ora questo materiale sbuca ovunque e ci rassicura), i cornetti e i dolci sono esposti con la stessa cura di prima, ma oggi mi sono sembrati più belli, più grandi forse a causa dei giochi di luci tra vetri, faretti e plexiglass. Prendere il latte macchiato e portalo fuori nel bicchiere di carta ti sentire come se ti trovassi a New York da Starbuks. Il problema è che bisogna scegliere se prendere qualcosa da bere o qualcosa da mangiare. Con tutte e due le cose rischi di sporcarti o di far cadere il cappuccino. Camminare per strada mangiando, poi, non mi viene ancora naturale ma non è male. Il galateo lo giudica sconveniente, perché da sempre il cibo di strada è per la gente del popolo, per i lavoratori e il galateo con le sue regole, con le sue manie è sempre stato dalla parte dei ricchi. Però dovremo abituarci e sono sicura che qualche esperta di bon ton saprà consigliarci su come muoverci con eleganza anche in queste nuove abitudini e magari scriverà un’edizione del galateo ai tempi del coronavirus. È un genere molto noioso e le autrici in genere sono signore dell’alta società che, fingendo un’ironia da salotto, prendono molto sul serio il loro rango e il loro posizionamento sociale. Questa volta però potrebbero rendersi utili.

 I FUNERALI

I funerali di primavera sono tristi e ingiusti. Lo dice anche De André nella guerra di Piero: morire di maggio ci vuole tanto troppo coraggio e se muori in maggio, nella fase due del Covid 19, la sorte ti riserva anche un funerale con solo quindici persone, che possono partecipare ben distanziate tra loro e con le dovute precauzioni. Oggi, per salutare A., ho preso parte a una di queste cerimonie e poiché è già primavera, e le indicazioni sanitarie lo consigliano, il funerale si è svolto all’aperto, in un piccolo piazzale di cemento davanti alla sua parrocchia, perché anche le chiese sono state costruite più per celebrare il cemento che la bellezza.  Un sacerdote con gli occhi a mandorla ha officiato il rito davanti a poche persone che si attenevano alle indicazioni con molta disciplina, generando intorno a loro un silenzio sospeso e inusuale anche per un funerale. Siamo entrati nell’ordine del Virus da soli due mesi ma abbiamo già imparato a controllare i nostri comportamenti, a salutarci da lontano, a svanire nella distanza, sperando che i sentimenti possano restare uguali e che le disposizioni sanitarie non riescano a modificarli. Non ci siamo neppure abbracciati, ma non è stata una sensazione insopportabile. Alla fine della breve funzione, mentre l’aria della primavera lambiva le parole del prete, ci hanno invitato ad uscire senza creare assembramenti. Abbiamo lasciato la chiesa da soli, senza parlare di A, senza ricordare A. e così subito dopo ci ha sorpreso l’imbarazzo di non aver saluto nessuno, di essere quasi scappati e di aver cominciato a dimenticare tropo presto.

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