skip to Main Content

Covid Piano Pandemico

Le proteste in Cina contro i lockdown mettono a rischio il regime?

La durezza delle politiche di zero Covid ha provocato una serie di grandi proteste antigovernative in Cina. Ecco fatti e commenti degli esperti.

 

Il tappo è saltato. Tre anni di politiche inflessibili zero-Covid, di interminabili lockdown, di test di massa e di sfiancanti quarantene hanno esasperato il popolo cinese, che questo fine settimana è sceso in piazza brandendo fogli bianchi in segno di protesta contro la censura e urlando slogan che in molti casi hanno virato sulla politica prendendo di mira il regime e lo stesso Xi Jinping.

L’incendio a Urumqi

La scintilla, nel senso letterale del termine, è scattata dopo un tragico incendio in una palazzina nel capoluogo della provincia occidentale dello Xinjiang, Urumqi, che ha causato, secondo l’Ap, dieci morti e nove feriti.

Come risulta da alcuni video circolati sul web cinese, l’edificio si sarebbe trasformato in una trappola mortale per gli occupanti che erano costretti all’isolamento dopo la proclamazione di un lungo lockdown cittadino. Le misure prese per confinare i residenti nei loro appartamenti erano draconiane e avrebbero rallentato i soccorsi da parte dei vigili del fuoco.

La rabbia dei residenti

Secondo alcuni video visionati da Cnn e da Reuters, il giorno dopo centinaia di persone si sono radunate in una piazza di Urumqi per chiedere la fine del lockdown.

Un filmato mostra la gente cantare l’inno nazionale e il verso che recita “sollevatevi, voi che rifiutate di essere schiavi”. Un altro video, ampiamente circolato sui social media cinesi, mostra un folto gruppo di persone marciare in direzione di un edificio governativo urlando “Terminate il lockdown”.

La reazione delle autorità

Presi alla sprovvista dalla mobilitazione dei residenti, i funzionari del governo locale, riporta la Cnn, hanno convocato il giorno dopo le proteste una conferenza stampa durante la quale hanno promesso di alleviare “progressivamente” le misure di confinamento.

Ma il rilassamento delle regole, hanno aggiunto, varrà solo per i quartieri considerati “a basso rischio” ai cui abitanti sarà consentito una moderata libertà di movimento.

In ogni caso i zelanti funzionari hanno difeso la loro strategia di contenimento del contagio. Tra questi, il capo della propaganda di Urumqi, Sui Rong, ha sostenuto che grazie ai lockdown “sono stati basicamente eliminati i casi di Covid nella società”.

Le proteste dilagano

La tragedia di Urumqi ha fatto molto scalpore in Cina, nonostante la censura, anche perché ha toccato una corda molto tesa in una popolazione stremata dall’ennesimo ciclo di lockdown.

Secondo la Cnn sono sedici le città della Repubblica popolare in cui la gente è scesa in piazza a protestare, con decine di altre località interessate da mobilitazioni più blande.

La manifestazione più clamorosa, racconta ancora la Cnn, si è registrata nella metropoli di Shanghai, anch’essa stretta nella morsa dell’isolamento a pochi mesi dal durissimo e quasi infinito lockdown imposto dalle autorità in primavera.

Centinaia di persone si sono radunate in via Urumqi per commemorare le vittime dell’incendio nello Xinjiang. Sul luogo si sono viste candele accese, fiori e gli ormai famosi fogli bianchi che hanno fatto parlare la Bbc di una “rivoluzione A4”.

È qui che si sono uditi slogan di chiara matrice politica, come “abbiamo bisogno di diritti umani e di libertà”, “non vogliamo la dittatura, vogliamo la democrazia” e addirittura esortazioni a Xi Jinping a “dimettersi”.

Ben presto è intervenuta la polizia, che ha proceduto a disperdere la folla e a trarre in arresto alcuni manifestanti. Tra le persone trattenute c’era anche un reporter della Bbc, Edward Lawrence, che sarebbe stato picchiato e ammanettato dalla polizia.

Nonostante la repressione, il giorno dopo una folla si è nuovamente materializzata in via Urumqi, dove è stata accolta da un robusto presidio della polizia.

La protesta arriva anche a Pechino

Nella giornata di domenica le proteste sono dilagate in città come Pechino, Chengdu, Guangzhou e Wuhan. Anche qui i manifestanti hanno chiesto a gran voce non solo la fine dei lockdown ma anche libertà politiche.

Nella capitale le proteste si sono prolungate fino a ieri. Centinaia di giovani si sono radunati per una veglia nei pressi del fiume Liangma per poi marciare verso il centro della città.

Anche qui si sono uditi slogan politici come ”vogliamo la libertà”. Nelle prime ore del mattino, secondo il Guardian, erano almeno mille le persone concentrate nella via del terzo anello, disobbedendo agli ordini della polizia di disperdersi.

Atenei in fibrillazione

La protesta ha quindi raggiunto le Università del Paese, luogo particolarmente sensibile per il Partito comunista, timoroso del ripetersi del movimento che portò ai famosi fatti di Piazza Tienanmen.

Nelle prime ore di domenica mattina centinaia di studenti si sono riuniti nella prestigiosa Università di Pechino sullo sfondo di uno slogan dipinto con vernice rossa sul muro che recitava: “Dite no ai lockdown e sì alla libertà. No ai test Covid e sì al cibo”.

Nello stesso momento centinaia di studenti dell’Università Tsinghua hanno inscenato una protesta documentata da numerosi video in cui si sentono i manifestanti urlare “democrazia e stato di diritto, libertà di espressione!”.

Le dichiarazioni del portavoce del governo

Come si evince dalle dichiarazioni rilasciate dal portavoce del Ministero degli Esteri Zhao Lijian, la linea assunta dal governo è stata quella di minimizzare la portata delle proteste e del dissenso.

In risposta alle domande dei giornalisti, Zhao ha affermato che “ciò che avete menzionato non riflette ciò che è effettivamente accaduto”.

“Noi crediamo – ha aggiunto il portavoce – che con la leadership del Partito comunista cinese … la nostra lotta contro il Covid 19 avrà successo”.

Il commento degli esperti

Come ha osservato al New York Times Minxin Pei, docente al Claremont McKenna College ed esperto di politica cinese, le scene viste in Cina in questi giorni sono “senza precedenti”.

“Ciò riflette”, aggiunge il docente, “un gran montare della frustrazione per le politiche anti-Covid. La gente è semplicemente stufa”.

Secondo Dali Yang, studioso di Scienze politiche all’Università di Chicago, l’atteggiamento dei cittadini cinesi è drasticamente mutato. “Nei primi due anni del Covid” ha dichiarato Dali a Reuters, “la gente si fidava del governo convinta che prendesse le migliori decisioni per tenerla al sicuro dal virus. Adesso invece la gente si pone delle domande ed è circospetta quando si tratta di obbedire agli ordini”.

Maria Repnikova, professore associato alla Georgia State University e studiosa della politica e dei media cinesi, rileva che, se non è raro che qualche protesta isolata scoppi in Cina, non avviene mai che i manifestanti prendano di mira direttamente il governo e la sua leadership.

“Questo è un tipo differente di protesta”, osserva la docente intervistata dalla Cnn, “da quelle più localizzate che abbiamo visto ricorrere negli ultimi vent’anni e che tendono a focalizzare le rivendicazioni su precisi funzionari locali e su temi di stretta pertinenza economica e sociale”. Ciò cui stiano assistendo in questi giorni è “la più dura espressione di lamentele politiche insieme alle preoccupazioni per il lockdown”.

Back To Top