Del “tanto impegno” che la segretaria del Pd Elly Schlein ha assicurato di avere messo nella campagna elettorale nelle Marche non c’è dubbio. L’hanno vista arrivare dappertutto. E se ne sono accorti, diversamente da quanto accadde, sempre nei suoi racconti, nel partito quando ne scalò e conquistò il vertice ribaltando l’esito del voto degli iscritti, che si erano pronunciatosi per il suo concorrente Stefano Bonaccini. Il quale oggi l’assiste come presidente fra il malumore e le proteste anche pubbliche di quanti, avendolo sostenuto, se ne aspettavano una condotta di contenimento, non di fiancheggiamento della Schlein, quale invece è avvertito almeno da una parte dei riformisti, come si chiamano quelli della minoranza.
Anche dell’esito negativo o “insufficiente”, come lo chiama lei, di tanto impegno elettorale non c’è dubbio. Ha stravinto con otto punti di vantaggio il presidente uscente di centrodestra delle Marche, Francesco Acquaroni. E straperso, conseguentemente, il candidato del campo una volta tanto davvero largo, da Matteo Renzi a Giuseppe Conte: Matteo Ricci, europarlamentare e già sindaco di Pesaro con qualche pendenza giudiziaria per la sua attività di amministratore che avrebbe potuto aiutarlo, visti gli effetti anche controproducenti che riescono a produrre certe iniziative, ma che stavolta sono mancati.
Gli elettori delle Marche hanno visto arrivare nelle loro piazze la segretaria del Pd, sono magari andati anche a sentirla, più giovani che anziani, come ha raccontato il capogruppo del Pd al Senato Francesco Boccia, ma poi hanno disertato i seggi elettorali. “Piazze piene, urne vuote”, aveva gridato già nel 1948 a livello nazionale il socialista Pietro Nenni commentando la sconfitta del cosiddetto fronte popolare.
Metà elettorato nelle Marche è rimasto a casa abbassando di dieci punti l’affluenza delle precedenti elezioni regionali, solo cinque anni fa. E sono state proprio le assenze a fare e produrre la differenza, diciamo così. facendo fallire non solo la corsa di Matteo Ricci e del campo largo alla presidenza della regione, ma anche la spallata al governo di Giorgia Meloni che la Schlein si era proposta. E che anche l’impietoso manifesto le ha ricordato.
Per scherzo, ma non troppo, si può ora immaginare la segretaria del Pd in radiologia per un accertamento delle condizioni della sua spalla sinistra, ma anche della destra. In attesa che poi il partito, magari non subito ma dopo le altre tappe di questa campagna elettorale d’autunno, le faccia il suo esame politico, decidendo se avvicinare o allontanare un congresso di verifica, di chiarimento o come altro si vorrà o potrà chiamare.
A livello rigorosamente di partito, in cinque anni dalle precedenti elezioni regionali, il Pd è sceso dal 25,1 al 22,5 per cento dei voti perdendo il primo posto della classifica generale. Ma ancora più visibilmente e significativamente i fratelli d’Italia della Meloni sono saliti dal 18,7 al 27,4 per cento, saltando al primo posto. E forse archiviando, credo, del tutto la storia di sinistra delle Marche, dove la destra è stata vissuta negli ultimi anni, sempre da sinistra, come usurpatrice.