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Germania Merkel Cina

I programmi su economia e non solo dei candidati leader Cdu (che si smarcano da Merkel)

L'approfondimento di Pierluigi Mennitti da Berlino

Si apre il congresso Cdu di Amburgo che segnerà il primo passaggio della fine dell’era di Angela Merkel, almeno per quel che riguarda lo scenario tedesco. E da un mese il partito sta vivendo un’esperienza che non gli capitava da lustri: discute, dibatte, si divide e si scontra attorno a tre candidati alla successione e a tre linee politiche.

È come se di colpo fosse saltato il tappo di una bottiglia di spumante troppo a lungo compresso. O il coperchio di una pentola dentro la quale l’acqua ribolliva in segreto. La decisione di Merkel di passare il testimone di leader della Cdu (e in tre anni quello di cancelliera) ha immesso aria fresca nelle stanze a lungo sigillate della politica tedesca. Un vento di rinnovamento, di cui fra un po’ di tempo potremo valutare la bontà. Per il momento, però, aria nuova.

Emerge un elemento che sembrava consegnato al passato: il ritorno delle coordinate ideologiche, della ricerca di bussole orientative, il richiamo a visioni del mondo che si caricano di valori forti e conflittuali rispetto a quelli di altri esponenti e, naturalmente, di altri partiti. Il panorama politico torna a polarizzarsi, le posizioni diventano più nette, il pragmatismo viene sostituito dalla ricerca di punti fermi dai quali tracciare strategie politiche ed economiche per la Germania del futuro. E in questo modo si riaffaccia la politica, con le sue passioni e i suoi conflitti, con le contrapposizioni e le visioni alternative della società, con le dispute polemiche e finanche con gli eccessi verbali. Il dopo-Merkel non è tecnicamente neppure iniziato, ma il suo semplice annuncio ha dato una scossa a tutta la politica tedesca.

Epicentro, naturalmente, nella Cdu, che oggi deciderà il suo futuro dopo i 18 anni merkeliani. Dei tre candidati, due – Friedrich Merz e Jens Spahn – appartengono all’area liberal-conservatrice finora minoritaria, una – Annegrett Kramp-Karrenbauer – raccoglie l’eredità della cancelliera. Ma nessuno di loro, presentandosi prima alla stampa e poi nei congressi regionali di partito, ha segnalato una sorta di continuismo con la linea pragmatica e flessibile di Merkel. E se dai primi due c’era da aspettarselo, la chiarezza con cui Kramp-Karrenbauer ha illustrato le sue posizioni hanno sorpreso molti commentatori. A chi l’ha definita una mini-Merkel ha replicato a tono: “In me non c’è nulla di mini, tendo a fare discorsi chiari e a prendere per le corna argomenti difficili”. Come quello sulla sicurezza, tema molto sentito dalla parte più conservatrice degli elettori della Cdu e invece poco avvertito dalla cancelliera, che a parole non ha mai messo in discussione la politica delle porte aperte verso i migranti adottata durante l’emergenza dell’autunno 2015.

Quanto a Merz, se sul piano economico erano note le sue preferenze per politiche che creino condizioni ambientali favorevoli al libero mercato, meno chiare erano le sue posizioni sull’Europa. A cavallo della decisione di tornare nell’agone politico, Merz si è scoperto un’europeista convinto, sulla scia di due suoi mentori politici: Helmut Kohl e Wolfgang Schäuble. Dopo aver firmato assieme ad altri cinque esponenti del mondo politico e intellettuale tedesco un appello per riforme incisive che è piaciuto anche al ministro Paolo Savona, ha ribadito da candidato alla guida della Cdu due punti salienti di quell’appello: riforme per il rafforzamento dell’Eurozona attraverso correttivi che risolvano le cause della sua fragilità e disponibilità della Germania ad accollarsi in futuro anche più elevati contributi finanziari. Se rapportato all’atteggiamento dilatorio con cui la cancelliera ha prima accolto, poi sforbiciato, infine depotenziato la Grande Réforme proposta dal suo stesso alleato Macron, ci si accorge che siamo di fronte a un cambio di passo.

La costruzione di un profilo più netto per la Cdu ha avuto effetti salutari anche sugli altri partiti, a cominciare dal grande malato, l’Spd. I socialdemocratici si sono rimessi in cerca di idee di sinistra, cercandole durante un convegno teorico nell’abbraccio a Tsipras (che prima della “rieducazione” di Bruxelles gironzolava dalle parti della Linke) e trovandole nell’abiura delle riforme del lavoro e dello stato sociale dell’era schröderiana (Harz IV), nella proposta berlinese di un reddito solidale di cittadinanza in cambio di lavori socialmente utili, nella campagna contro i monopolisti digitali individuati nei giganti Internet di Usa e Cina.

In verità nei sondaggi si fatica a rintracciare un riflesso positivo del nuovo corso: il partito è scivolato al quarto posto, dopo la Cdu e scavalcato pure da Verdi e destra nazionalista Afd. Alcuni osservatori sostengono che ci vorrà tempo per recuperare la credibilità perduta dell’elettorato tradizionale dopo la “stagione neoliberista” dell’Harz IV e dei governi con la Cdu, altri ritengono che sia tutto un problema di leadership. E come nella migliore tradizione dei partiti progressisti europei, nell’Spd già si trama per dare dopo pochi mesi il benservito alla presidente Andrea Nahles. Dice molto sul clima interno la dichiarazione di un esponente dell’ala moderata come Peter Steinbrück, ministro delle Finanze durante la crisi finanziaria del 2008, secondo cui “all’Spd servirebbe un leader radicale alla Bernie Sanders con 30 anni di meno”.

A sinistra (ma forse anche al centro) è ora il tempo dei Verdi, balzati stabilmente alle spalle della Cdu nei sondaggi sulle intenzioni di voto. La trasformazione degli ultimi lustri da simpatica e variopinta compagnia ecologista massimalista a responsabile e ragionevole partito della moderna e urbana borghesia illuminata, capace di insidiare anche l’elettorato conservatore e di governare senza scossoni un Land industriale (e dell’auto) come il Baden-Württemberg, non tragga in inganno. La nuova leadership emersa dopo il fallimento delle trattative per il governo Giamaica, si è presentata all’ultimo congresso predicando “analisi radicali e non compromessi”, “più idealismo e meno realismo”, “visioni politiche invece che pragmatismo”. I Verdi celebrano la nuova stagione di successi sull’onda di quello che definiscono “il ritorno della politica analogica, non solo comunicazione via twitter ma emozioni, idee, passioni”: vincono perchè riempiono l’arsenale di idee non perché smobilitano.

Ma ora l’attenzione è tutta concentrata sulla Cdu e sul congresso alla Fiera di Amburgo. Su come i mille e uno delegati del partito disegneranno il dopo-Merkel, in attesa di capire se la volontà della cancelliera di condurre a termine il mandato governativo fino al 2021 reggerà la prova della coabitazione. Intenso è stato il confronto fra i tre candidati sui temi economici: in palio ci sono i voti dei 375 delegati della cosiddetta ala economica, rappresentante soprattutto degli interessi delle piccole e medie imprese. Merz ha promesso una semplificazione dell’imposta sul reddito, Spahn una riduzione delle tasse sull’impresa e anche Kramp-Karrenbauer, che ai tempi in cui governava il Land della Saar aveva caldeggiato un aumento delle aliquote dell’imposta marginale, si è detta favorevole a una grande riforma fiscale.

I giornali economici tifano per Merz, apertamente. L’Handelsblatt lo ha indicato come “l’unico che può salvare la Cdu dal declino”. Per la WirtschaftsWoche solo lui “può adottare politiche per generale la ricchezza e non semplicemente a distribuirla”, aspetto ancor più importante visti i primi accenni di rallentamento dell’economia. Anche i quotidiani conservatori strizzano l’occhio a Merz pur provando a mostrarsi neutrali, mentre la stampa progressista spera in Kramp-Karrenbauer e in una prosecuzione dell’ecumenismo merkeliano.

Nel frattempo qualche big del partito ha rotto il riserbo e si è schierato: Wolfgang Schäuble con Merz, Peter Altmeier con Kramp-Karrenbauer, gli altri sono silenti in pubblico e si azzuffano dietro le quinte e nelle federazioni regionali. La partita vera è però ormai ristretta a due soli candidati, Kramp-Karrenbauer e Merz. Secondo i sondaggi l’ex governatrice della Saar è favorita: ha l’appoggio della struttura del partito, modellato da Merkel nei 18 anni di presidenza e lei stessa, in quanto segretaria generale da un anno, ne ha avuto in mano l’organizzazione. Spahn soffre un ritardo incolmabile, la concorrenza di Merz sul suo stesso terreno lo ha spiazzato: i delegati che voteranno per lui potrebbero essere l’ago della bilancia in caso di ballottagglio, qualora nessuno superasse il 50,1% al primo giro. Chissà cosa faranno. Oggi si capirà dove tira il vento in una Cdu che, per la prima volta dopo 18 anni, vive un congresso senza un canovaccio già scritto.

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