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Cosa cambierà in Russia dopo la tarantella fra Prigozhin e Putin

Cronaca, analisi, commenti e dubbi sulla fine della marcia di Prigozhin, il capo del gruppo Wagner, su Mosca. Cosa succederà adesso? È davvero l'inizio della fine per Putin?

La marcia di Yevgeny Prigozhin, il capo della compagnia di mercenari russi Wagner, si è fermata a 200 km da Mosca.

Dopo mesi di critiche sempre più violente contro le istituzioni militari, Prigozhin ha lanciato la sfida direttamente al presidente Vladimir Putin penetrando con le sue milizie in territorio russo apparentemente, e incredibilmente, senza incontrare alcuna resistenza. Fino a quando, in serata, ha annunciato la marcia indietro “per evitare un bagno di sangue russo”.

Per la Russia, e per il mondo, è stata una giornata drammatica in cui il Paese è sembrato poter precipitare in una guerra civile. In un discorso alla nazione, in mattinata il capo del Cremlino aveva definito l’azione di Prigozhin una “pugnalata alle spalle” alle truppe che combattono in Ucraina. Mentre i servizi d’intelligence lo hanno accusato di avere iniziato un “conflitto civile armato”.

– Leggi anche: Perché con la rivolta del gruppo Wagner in Russia la guerra di Putin all’Ucraina finirà. Parla l’analista Sisci

Cosa volesse di preciso lui non lo ha detto, ma in pochi credono a un’azione individuale, mentre diversi osservatori si dicono convinti che sia in gioco una resa dei conti politica in cui Prigozhin sarebbe solo una pedina.

COSA È SUCCESSO AL “COLPO DI STATO” DI PRIGOZHIN, IN BREVE

Dopo aver accusato l’esercito di Mosca di avere bombardato le postazioni dei suoi uomini, il capo della Wagner ha annunciato di aver catturato la città di Rostov sul Don, il più importante centro a ridosso del confine ucraino, impossessandosi senza sparare un colpo dell’aeroporto, del quartier generale militare e di quello dei servizi segreti interni, l’Fsb. La situazione si è fatta via via più drammatica con il passare delle ore, con le autorità locali che hanno cominciato a segnalare un’avanzata dei poco più di 20.000 miliziani della Wagner verso nord senza che nessuno intervenisse. Prima la provincia di Voronezh, poi quella di Lipetsk, circa 450 chilometri a sud di Mosca.

In serata, quando ormai la capitale sembrava nel mirino, il colpo di scena. Il presidente bielorusso Alexander Lukashenko si è intestato un negoziato “durato tutto il giorno e in accordo con Putin” durante il quale al capo di Wagner sarebbero state fornite “garanzie assolutamente vantaggiose e accettabili” in cambio del ritiro dei suoi uomini. Con lo stesso Prigozhin che subito dopo ha annunciato il dietrofront e il rientro dei miliziani nei loro campi base nel sud del Paese.

IL DISCORSO DI PUTIN E LA REPLICA DI PRIGOZHIN

A metà mattinata Putin era apparso in televisione per non più di cinque minuti accusando il suo (ex?) alleato di “tradimento” per ambizioni personali. “Tutti coloro che hanno scelto la via del tradimento saranno puniti e saranno ritenuti responsabili”, aveva avvertito il presidente, che era sembrato alludere al possibile ruolo di altri personaggi oltre a Prigozhin. Quest’ultimo aveva risposto affermando che Putin era “profondamente in errore”, avvertendo che nessuno dei suoi uomini si sarebbe consegnato.

Successivamente alcuni siti hanno diffuso voci secondo le quali Putin era fuggito da Mosca, ma il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov le ha seccamente smentite. Le autorità hanno sospeso gli account della Wagner sui social, ma non su Telegram, dove Prigozhin ha continuato indisturbato a lanciare i suoi proclami. Non contro Putin personalmente, ma contro il ministro della Difesa Serghei Shoigu e il capo di Stato maggiore Valery Gerasimov. Mentre il comandante ceceno Ramzan Kadyrov assicurava di essere pronto a mettere le sue forze a disposizione per “schiacciare” la ribellione”.

COME MOSCA SI È PREPARATA ALL’ARRIVO DELLA WAGNER

Per tutto il giorno il nervosismo a Mosca è andato crescendo per il possibile arrivo della Wagner. Forze di polizia sono state dispiegate in punti nevralgici della città, mentre video diffusi sui canali Telegram mostravano mezzi blindati all’entrata nella capitale dalla direzione sud.

Il sindaco Serghei Sobyanin ha invitato la popolazione a limitare gli spostamenti e ha annunciato che lunedì sarà una giornata non lavorativa. Il ministero degli Esteri russo ha invece rivolto un monito ai Paesi occidentali perché non approfittino della crisi per “raggiungere i loro scopi russofobi” e ha ribadito che l’operazione in Ucraina continua e che “tutti gli obiettivi saranno raggiunti”. Ma questa incredibile giornata l’ha chiusa ancora Putin, ringraziando Lukashenko per la mediazione e “per il lavoro svolto”.

I DUBBI SULLA MARCIA DI PRIGOZHIN

La più importante città del sud della Russia a ridosso del confine ucraino presa senza sparare un colpo e poco più di 20.000 miliziani che si avviano apparentemente senza incontrare resistenza a conquistare Mosca, la capitale del Paese più grande del mondo e di una delle maggiori potenze nucleari globali.

L’impresa di Yevgeny Prigozhin e della sua Wagner, battezzata ‘marcia per la giustizia’, ha dell’incredibile. E solleva più di un interrogativo. È l’opera individuale di un personaggio che si è montato la testa fino a perdere il senso della realtà o l’azione di qualcuno che ha alle spalle poteri superiori? Se si scarta la prima ipotesi, quella dell’impresa suicida di un pazzo, resta la possibilità che Prigozhin si sia mosso con l’appoggio di personaggi influenti, e a questo punto si aprono altri due scenari alternativi: il capo della Wagner è utilizzato da qualcuno ad alto livello – magari un gruppo di oligarchi scontenti dell’andamento del conflitto in Ucraina – per eliminare il presidente Vladimir Putin? Oppure è lo stesso Cremlino a servirsi di un alleato da sempre fidato per scopi che al momento non sono chiari? Qualcuno pensa ad una mobilitazione generale, altrimenti difficile da far digerire alla popolazione, oppure alla possibilità per lo stesso Putin di presentarsi – agli occhi dei russi ma anche di tutto il mondo – come il vero leader moderato capace di tenere a freno le spinte estremiste. O addirittura ad una mossa per silurare l’odiato (da Prigozhin) ministro della Difesa Shoigu: sarebbe stato promesso, ma non c’è nessuna conferma, nell’accordo mediato da Lukashenko.

Solo in serata Prigozhin ha annunciato il ritiro, dicendo di essere arrivato a non più di 200 chilometri da Mosca. Ma alcune ore prima, nei cinque minuti del suo discorso alla nazione, Putin si è presentato come l’uomo necessario per tenere unito un Paese sull’orlo di una guerra civile che, come un secolo fa, dopo la rivoluzione bolscevica, potrebbe portare all’onta della sconfitta sul campo di battaglia. “Questo colpo è stato dato al popolo russo anche nel 1917 – ha affermato lo zar – quando combatteva la Prima guerra mondiale, quando la vittoria gli è stata praticamente rubata. Noi non permetteremo la ripetizione di una situazione del genere”.

Putin tiene comunque a dare una immagine di sicurezza e normalità. Il suo portavoce Dmitry Peskov ha smentito una voce diffusa dalla testata indipendente Novaya Gazeta secondo la quale il leader russo avrebbe preso il volo a bordo di un aereo decollato dall’aeroporto Vnukovo di Mosca e diretto a San Pietroburgo prima di sparire dai tracciati radar. Il presidente “sta lavorando normalmente al Cremlino”, ha detto Peskov.

COSA PENSA L’UCRAINA

La teoria dell’azione individuale di Prigozhin, che potrebbe portare a un rovesciamento di Putin, è invece sposata dall’Ucraina e da esponenti russi dell’opposizione al Cremlino. “La debolezza della Russia è evidente, è debolezza su vasta scala”, ha esultato Volodymyr Zelensky. Con Prigozhin si è schierato apertamente anche Denis ‘White rex’ Nikitin, capo del Corpo dei volontari russi, organizzazione armata russa che combatte con le forze ucraine e ha rivendicato nei mesi scorsi incursioni in territorio russo.

“Io faccio sinceramente il tifo per la missione di Prigozhin perché già da tempo ho detto che il regime sanguinario del Cremlino può essere abbattuto solo in un modo, solo con una sommossa armata”, aveva affermato Nikitin. Della stessa opinione Mikhail Khodorkovsky, l’oligarca russo schieratosi contro Putin che ha trascorso 10 anni in carcere e ora vive a Londra. Per loro non c’è nessun sospetto di una possibile regia dietro l’avanzata – interrotta – di Prigozhin, né alcun dubbio che l’impresa dal sapore dannunziano del capo della Wagner potesse aprire la strada a una Russia migliore e più democratica.

COSA PENSA MEDVEDEV

Di parere diametralmente opposto, ovviamente, Dmitri Medvedev. Il vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo ha evocato la partecipazione di stranieri e di unità di élite delle forze armate russe nella pianificazione dell’ammutinamento delle milizie Wagner. E soprattutto aveva avvertito che se le armi nucleari dovessero finire nelle mani di “criminali” non sarebbe solo la Russia a dover tremare, ma il mondo intero.

L’ANALISI DELL’ISPI

Non è un caso che l’insurrezione di Prigozhin sia cominciata con la conquista di Rostov sul Don, la principale città della Russia meridionale e capitale dell’omonima regione al confine l’Ucraina orientale. Ci abitano circa un milione di persone ed è un importante porto fluviale a mille chilometri a sud-ovest di Mosca. Ma soprattutto, è la sede del quartier generale dell’8a armata e del distretto federale meridionale della Russia. Prigozhin ha pubblicato un video in cui afferma di controllare i siti militari della città e con essi, il centro delle operazioni russe in Ucraina.

Prigozhin assicura che le sue milizie “non hanno dovuto sparare un colpo” per avanzare. Non è chiaro però cosa abbia ottenuto il leader dei mercenari in cambio della retromarcia.

Putin è solo?

È significativo che nelle ore concitate seguite all’annuncio di Prigozhin, alcuni alleati chiave del capo della Wagner si siano allontanati o abbiano condannato la sua insurrezione. Tra questi il generale Sergei Surovikin, noto in Occidente come ‘generale Armageddon’ per la sua distruzione della città siriana di Aleppo. Surovikin, ex comandante delle forze di terra russe in Ucraina, molto popolare tra gli ultranazionalisti del paese la cui retrocessione lo scorso anno aveva provocato vibranti proteste on line ha esortato i miliziani di Wagner a cessare ogni opposizione alla leadership militare russa e a tornare in caserma. “Vi esorto a smetterla”, ha detto in un videomessaggio pubblicato su Telegram. “Insieme a voi, abbiamo percorso un percorso difficile, abbiamo combattuto insieme, abbiamo rischiato, subito perdite, abbiamo vinto insieme. Siamo dello stesso sangue, siamo guerrieri. Perciò vi esorto e fermarvi e obbedire al volere del presidente. Il nemico sta solo aspettando che la situazione peggiori nel nostro paese”.

Allo stesso modo, il leader ceceno Ramzan Kadyrov, complice di Prigozhin lo scorso anno nel puntare il dito contro i vertici militari russi definendoli con disprezzo “generali in tempo di pace”, ha preso le distanze dal suo amico, dicendosi pronto ad aiutare il Cremlino “a mettere fine alla ribellione”. Anche gli influenti blogger militari russi favorevoli alla guerra e alcune agenzie di sicurezza, come il servizio di intelligence dell’FSB, hanno denunciato il capo della Wagner, schierandosi con il Cremlino.

Cosa succede adesso?

Non c’è dubbio che l’ammutinamento di Prigozhin equivalga alla più grande crisi politica che Putin abbia affrontato nel suo quarto di secolo come leader della Russia. “È un colpo enorme per la legittimità di Putin”, osserva l’oppositore russo Mikhail Khodorkovsky secondo cui l’insurrezione della Wagner “indebolirà il capo del Cremlino”. Il fatto stesso che qualcuno possa averlo sfidato infatti, secondo Khodorkovsky, aumenterà i dubbi sulla sua presa del potere. Ma mentre il mondo osserva col fiato sospeso gli eventi delle ultime ore, non è ancora chiaro a che epilogo porterà il voltafaccia di Prigozhin.

Se Kiev vede “una finestra di opportunità” in quello che sta accadendo in Russia e Kaja Kallas, la prima ministra dell’Estonia, annuncia che il suo paese ha rafforzato i controlli al confine con la Russia, in Europa l’atteggiamento più diffuso è di cautela per questioni, ripetono in molti, “interne alla Russia”. Intanto, voci non confermate riferiscono dell’aereo del Cremlino in volo da ore con il transponder spento a cui vari paesi ‘amici’ avrebbero negato l’atterraggio. “Vladimir Putin è a Mosca e sta lavorando” è la risposta secca del Cremlino. Ma la sensazione che qualcosa stia inevitabilmente per cambiare al Cremlino non è mai stata così reale.

Il commento di Aldo Ferrari, Head Osservatorio Russia, Caucaso e Asia Centrale ISPI

“Gli avvenimenti delle ultime ore in Russia sono da un lato sorprendenti e gravissimi, dall’altro sono il frutto di circostanze senza precedenti: mai prima d’ora, e in un paese fortemente autoritario come la Russia di oggi, era capitato che una milizia privata arrivasse ad assumere un tale potere da permettersi di rivaleggiare con lo stato maggiore della Difesa. Lo scontro aperto mostra come Vladimir Putin, che finora sembrava controllare le frizioni tra il capo della Wagner e i suoi generali, in realtà non abbia la situazione in mano. Tutto dipenderà da cosa accade nelle prossime 48 ore e da come reagiranno le unità dell’esercito di fronte alla sfida aperta da Prigozhin. Anche se quello lanciato dal capo della Wagner sembra più l’azzardo di un giocatore spregiudicato che il piano di uno stratega.”

IL COMMENTO DI DAVID PETRAEUS (EX-CIA)

“Credo che le avanguardie del gruppo fossero a 60-90 minuti di distanza. Non l’intera forza, meno di 5.000, ma stavo tenendo d’occhio le reazioni di tutte le forze di sicurezza per vedere se restavano fedeli a Putin: l’esercito, l’aviazione, le forze speciali, la guardia nazionale Rosgvardiya, l’Fsb, le forze del ministero dell’Interno, del Cremlino e i ceceni, insomma l’insieme di elementi controllati dai siloviki, i leader dell’establishment della sicurezza. Se alcuni di loro avessero appoggiato il gruppo Wagner, si sarebbe scatenata una vera guerra civile”. Lo dice in una intervista al Corriere della Sera il generale David Petraeus, ex capo della Cia.

“Ora la situazione è molto confusa. Ma potrebbe essere che Prigozhin si è spaventato e si è reso conto che aveva costretto Putin a dirigere tutte le forze contro di lui”, afferma. “Penso che la stessa Wagner si sia impegnata in quest’azione solo 48 ore prima. Finora la tendenza di Prigozhin era di mantenere autonomia ma anche ottenere ulteriori risorse – sottolinea – Ed è solo quando Shoigu ha annunciato che tutte le forze irregolari avrebbero dovuto firmare contratti con il ministero della Difesa che Prigozhin si è sentito di forzare la mano. Secondo me sperava di evitarlo. Ma la scadenza era vicina, a fine mese, e allora si è imbarcato in quest’impresa. Ritengo improbabile che gli ucraini stiano lavorando con una persona che è stata così brutale, e che non vuole porre fine alla guerra”.

È L’INIZIO DELLA FINE DI PUTIN? IL COMMENTO DI PODOLYAK (UCRAINA)

”Comunque andrà, questo è l’inizio della fine di Putin”. Ad affermarlo, in una intervista a Repubblica, è il consigliere dell’Ufficio presidenziale dell’Ucraina Mykhailo Podolyak. ”Non poteva che finire così, ce lo aspettavamo…Le prossime ventiquattro ore saranno decisive per le sorti della Federazione”, sottolinea.

”Se Prigozhin dovesse raggiungere il suo obiettivo, una parte dell’esercito regolare lo seguirà. E questo, secondo noi, avvicinerà di molto la fine della guerra”, dice Podyak. ”Per noi – rileva – al momento non cambia niente, la controffensiva va avanti. Certo, è inevitabile che i disordini interni distoglieranno l’attenzione dell’esercito russo in prima linea, costretto a valutare cosa sta accadendo alle sue spalle. Se a Mosca decideranno di ritirare parte delle truppe dispiegate in Ucraina per reprimere la rivolta della Wagner, vedremo una forte accelerazione del nostro contrattacco”.

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