Il dato che più colpisce della campagna elettorale Usa ormai agli sgoccioli è, secondo Mario Del Pero, “la fissità dei sondaggi, delle opinioni e delle intenzioni di voto” che mostrano un distacco marginale se non inesistente fra i due sfidanti. È una situazione che stupisce, spiega il docente di Storia Internazionale e di Storia degli Stati Uniti all’Institut d’Études Politiques – SciencesPo di Parigi in questa intervista a Start Magazine, “a fronte di un ciclo elettorale in cui è successo davvero di tutto”, inclusi l’avvicendamento tra Biden e Harris e due attentati a Trump.
Come si è rivelata la candidatura di Kamala Harris?
Kamala Harris ha rimesso in pista una campagna elettorale che era ormai compromessa. Si è rivelata efficace nel comizio tenuto alla Convention democratica e anche su alcuni temi quali i diritti delle donne. Ha messo insieme molte storie individuali che ha saputo raccontare con passione e trasporto. Si era preparata molto bene per il dibattito presidenziale in Tv, esibendo un’ottima performance specialmente davanti a uno sfidante pasticcione, uscendone vincitrice. Però la vicepresidente mostra anche alcune fragilità.
Quali?
Nelle interlocuzioni con i giornalisti che la incalzano su questioni di policy minute e dettagliate non è stata molto abile. D’altra parte ha avuto davvero pochissimo tempo per prepararsi: resto convinto inoltre che, se Biden fosse fatto da parte prima e ci fosse stato un intero ciclo di primarie democratiche, sarebbero potuti emergere altri candidati più brillanti e competitivi.
In ogni caso questa è stata una campagna elettorale scoppiettante.
È vero, è stata una campagna scandita da continui colpi di scena, basti pensare al doppio attentato a Trump o all’avvicendamento tra Biden e Harris che non era mai avvenuto. È successo letteralmente di tutto e ciò è riflesso dai sondaggi, che restano immobili salvo oscillazioni limitatissime. Nel caso specifico di Trump era assodato che avrebbe detto e fatto di tutto e che i suoi sostenitori lo avrebbero comunque apprezzato. Trump gode ormai di una base fidelizzata che è molto ampia anche se non è maggioritaria nel Paese, e lui si è dimostrato come sempre capace di mobilitarla a fronte di un successo meno eclatante dell’antagonista su questo fronte.
Ma qual è l’aspetto più sorprendente di questa campagna elettorale?
Il dato che colpisce è la fissità dei sondaggi, delle opinioni e delle intenzioni di voto a fronte di un ciclo elettorale in cui è successo davvero di tutto, e questo ci dà la misura di quanto la società americana sia divisa in due blocchi politico-elettorali contrapposti e impermeabili l’uno rispetto all’altro.
Come sarebbe una presidenza Harris paragonata a quella di Biden?
Credo che ci sarebbe una sostanziale continuità malgrado Kamala si sforzerà di varare tutta una serie di iniziative di tipo soprattutto simbolico per marcare le differenze. Ricordo che lei ha inserito nel suo programma degli ambiziosi progetti per affrontare il problema dell’emergenza abitativa e delle carenze dell’edilizia popolare. Forse dovremmo aspettarci anche qualche gesto forte sul fronte dell’aborto, anche se su questo tema è difficile agire senza il sostegno legislativo del Congresso.
E sull’economia? Come si muoverebbe Harris?
Credo che su questo punto ci sarà il massimo della continuità. Mi riferisco alle principali politiche economiche di Biden e specificatamente al sostegno a processi di reindustrializzazione che sono funzionali al compimento della transizione green.
E se vincesse Trump? Cosa dovremmo aspettarci?
Qui è davvero difficile pronunciarsi perché, come si sa, il soggetto è estremamente imprevedibile. Ma se teniamo presenti i suoi precedenti quattro anni di governo, il dato che emerge è il radicale distacco tra i toni e gli stili comunicativi e la sostanza di politiche che da un lato non si sono discostate dall’impostazione convenzionale del Partito repubblicano e dall’altro si sono rivelate azzardate e spesso inefficaci.
Quali differenze potrebbero emergere tra il Trump 1 e il Trump 2?
Mentre nella prima amministrazione Trump il presidente era attorniato da personalità che avevano il compito di mitigarne le intemperanze, adesso credo che la squadra di governo sarà più coesa e dunque più radicale nelle parole se non nei fatti.
Quali atti di governo ci possiamo attendere da lui?
Sicuramente interverrà nel campo della transizione verde, ovviamente per bloccarla e ridare mano libera all’industria estrattiva. Ciò genererà tensioni e confitti tra il livello federale e gli Stati: ricordo che, quando nel 2017 Trump uscì dagli accordi di Parigi sul clima, gli Stati corsero a rinnovare i loro specifici programmi. Ma non è da qui che arriveranno le mosse più eclatanti.
Da dove arriveranno?
Credo proprio arriveranno in materia di immigrazione, per esempio con ondate di rastrellamenti di immigrati illegali ed espulsioni. Altrettanto controverso sarà il più che probabile abbandono dell’Ucraina, ma questo è un problema che riguarderebbe anche Harris se eletta perché ormai moltissimi americani sono contrari alla politica di aiuti massicci a Kiev.