Malgrado le ultime fiammate e gaffe, la campagna elettorale negli Usa è entrata in una fase di stanchezza e di reiterazione del già detto. È il commento che ii propone un attento osservatore della scena americana come Giampiero Gramaglia, giornalista, già corrispondente dagli Stati Uniti ed esperto di relazioni internazionali. In questa intervista a Start Magazine Gramaglia spiega anche perché la candidatura di Kamala Harris non ha funzionato come si sperava e perché invece quella di Trump appare impermeabile a ogni affermazione strampalata.
Come sono state queste ultime battute della campagna elettorale?
Percepisco una certa stanchezza, come se si fosse arrivati ormai a fine corsa. Difatti sia Trump che Harris tendono ultimamente a ripetersi, e questo è inevitabile. Tuttavia per Trump è più facile fare notizia perché tanto le sue dichiarazioni non hanno l’onere del riscontro con la realtà. In ogni caso la stragrande maggioranza egli americani ha ormai già deciso chi votare e parecchi l’hanno già fatto. Dunque il margine per far cambiare idea a qualcuno è ora molto limitato.
Sarà un testa a testa serratissimo.
Sì, infatti sarebbe arduo azzardare pronostici. Ma la mia percezione è che l’attuale sentiment, e in parte anche l’atteggiamento dei media, siano a favore di Trump. Conta molto una certa rassegnazione da parte democratica sulla candidatura di Kamala, che non ha sfondato come si sperava. I sondaggi certamente indicano che il voto per la vicepresidente sarà maggioritario a livello nazionale, ma il sistema elettorale Usa è tale che il voto nei famosi Stati chiave, che sarà determinante, potrebbe giocare a suo sfavore.
Cosa non ha funzionato nella candidatura di Harris?
Lei risente di un forte handicap che è quello di essere stata parte per quasi quattro anni di un’amministrazione che per molti motivi non sempre validi non è piaciuta. La Casa Bianca di Biden non ha ottenuto grandi risultati se non negli ultimi mesi. È inoltre una presidenza che sul piano internazionale non ha molto rafforzato il prestigio dell’America, basti pensare alla disastrosa ritirata dall’Afghanistan del 2021. Biden non ha saputo poi impedire la guerra in Ucraina, che era evitabile, e non ha saputo incidere in quella in Medio Oriente. Ma non è questo il fattore che penalizza di più Harris.
E qual è?
È il fatto che quattro anni fa si stava meglio. L’inflazione portata dal Covid e poi dai prezzi dell’energia ha fatto sì che, nonostante significativi e invidiabili aumenti delle retribuzioni, il potere d’acquisto degli americani sia diminuito. Quattro anni fa la gente poteva comprare di più e meglio.
Oltre a questo, cosa gonfia le vele di Trump?
A differenza di Kamala, che ha un elettorato molto critico che quindi tende a valutare negativamente gli errori commessi, Trump può fare e dire qualsiasi cosa perché al suo elettorato piace lo stesso. Non si sente quasi mai una critica all’ex presidente da parte di un trumpiano. Oltre alla capacità di far assorbire ogni affermazione, anche la più improbabile e non verificata, c’è un altro fattore che avvantaggia Trump.
Qual è?
Il fatto di essere in campagna elettorale ininterrottamente da più di otto anni. E lui in questo lunghissimo periodo è stato abilissimo a mantenere sempre alta l’attenzione su di sé.
Cosa ne pensa della trovata del McDonald’s?
Questa è una cosa che i candidati hanno sempre fatto, che si tratti di friggere le patatine o di versare la birra al pub. L’aspetto paradossale dell’operazione di Trump è che è stata Kamala Harris in gioventù a lavorare davvero da McDonald’s, mentre Trump lo fa per finta anche se lo fa bene e gli porterà fortuna come ha sempre fatto.
E lo scivolone del comico che al Madison Square Garden ha definito Portorico “un’isola galleggiante di spazzatura”?
Malgrado quelle parole non le abbia dette Trump, gli potrebbero costare caro. Ora però ci ha pensato Biden a dargli una mano usando lui stesso la parola spazzatura per indicare i sostenitori di Trump. Per quanto la Casa Bianca abbia poi corretto il tiro, i repubblicani hanno esultato ritenendo che il presidente abbia commesso lo stesso errore di Hillary Clinton nel 2016, quando definì “a basket of deplorables” i seguaci di The Donald. Un assist insomma.