Caro direttore,
provo, col tuo permesso, a ricapitolare. L’altra mattina all’alba (orario consigliato per le perquisizioni e le esecuzioni capitali, oltre che per le sfide a duello) la polizia belga ha “fermato” Federica Mogherini, rettore (oggi ex) del Collegio d’Europa di Bruges) e l’ambasciatore Stefano Sannino, direttore generale ad interim (oggi ex) per il Medio Oriente, Nord Africa e Golfo presso la Commissione europea e, in precedenza, per cinque anni segretario generale dell’apparato diplomatico dell’Unione europea. Dopo dodici ore di interrogatorio entrambi gli alti esponenti della nomenklatura Ue sono stati liberati. L’impresa della polizia belga si è esplicata su richiesta dell’EPPO, la cosiddetta Procura europea – cosiddetta perché di norma l’autorità preposta all’esercizio dell’azione penale è insediata presso una corte di giustizia, alla quale rivolge le proprie richieste di rinvio a giudizio, laddove l’EPPO è una sorta di consorzio di procuratori, uno per ciascuno degli Stati membri aderenti, che indirizzano l’azione penale alla rispettiva sede giudiziaria nazionale. Nel caso che per un paio di giorni ha emozionato la stampa internazionale, la polizia di Bruxelles, se già non l’ha fatto, non potrà che trasferire le risultanze delle sue indagini alla competente procura belga.
L’EPPO, insomma, è uno dei tanti “riquadri” dai quali è composto il mirabile patchwork meglio noto come “Ue”, probabilmente utile nella gestione del potere che le disabili classi politiche degli Stati-membri hanno “devoluto”, un po’ anche a loro insaputa, alle “istituzioni” di Bruxelles, cioè a una ristretta cerchia di eurocrati che se lo contendono. Il patchwork ha sicuramente una propria logica alla quale i cittadini – e ormai le stesse élites politiche degli Stati membri – non possono che credere e obbedire, e per la quale un domani magari dovranno combattere, precisamente in forza della sua opacità impenetrabile (sì, lo so anch’io direttore che la trasparenza è il presupposto della democrazia, come del resto ricorda nel suo prezioso Tecnica uno dei più sapienti e acuti filosofi della politica che ho incontrato nella mia carriera di lettore, Carlo Galli. Ma anche i Cardinali nel Rinascimento sapevano bene come si battezza la porchetta durante la Quaresima)
Torniamo indietro di un anno e mezzo, forse qualcosa di più. La riconferma dell’attuale presidente della Commissione europea – ma a questo punto sarebbe più appropriato parlare, in omaggio a Fantozzi che, dall’alto, sembrerebbe ispirare le attuali dinamiche politiche e mediatiche europee, di “mega presidente galattica” – fu preceduta da vivaci polemiche dovute ai cosiddetti scandali del Piepergate e dello Pfizergate, e di nuovo scrivo “cosiddetti” a ragion veduta: gli scandali veri sono pietre su cui i meschini inciampano, ma la nostra mega presidente galattica su queste pietre volteggia, siccome pedane per saltare su una piattaforma più elevata: parlare di scandali, in questi casi, è solo espressione di penoso velleitarismo. Infatti, esperite le formalità della votazione parlamentare di quegli scandali non si è più parlato e la presidente della Commissione ha fatto passare, anche con procedure d’urgenza, i provvedimenti del suo programma: convertire in industria bellica l’automotive in crisi, alzare ulteriormente la temperatura dello scontro tra l’Eu e la Russia di Putin, aprire contemporaneamente un altro fronte di guerra con l’America di Trump e soprattutto di quel bastardo di Vance che si permette di evocare – con totale mancanza di tatto – alcuni aspetti del patchwork di Bruxelles, città già celebre nei secoli per gli arazzi, su cui soffermarsi è da screanzati.
Finché si arriva allo scandalo della accademia per i diplomatici europei concluso con una blitzkrieg di tre giorni, e due “inciampati” rimasti sul terreno. Ripensandoci però, direttore, mica tanto una blitzkrieg. Ti ricorderai di quando alcuni mesi fa si cominciò a parlare del possibile rientro dall’ “esilio” Vaticano di Martin Selmayr, capo di gabinetto e uomo forte degli anni di Jean-Claude Juncker e poi segretario generale della Commissione. Era destinato al ruolo di braccio destro dell’Alta rappresentante per gli Affari esteri e la politica di sicurezza dell’Ue, la giovane e ambiziosa estone Kaja Kallas, ma la scelta non è andata a buon fine: dopo alcune settimane di schermaglie mediatiche si è saputo che Selmayr sarebbe rimasto in Vaticano. Poi è arrivato lo scandalo di ben 900 mila euro che sarebbero stati “male amministrati” nell’impresa di dare una sede alla futura accademia diplomatica europea. Cose da far tremare i polsi alla Bce, sicché l’Olaf (altra gemma del diadema istituzionale dell’impero brussellese, ma adesso non voglio annoiarti troppo, direttore) ha allertato l’EPPO che ha allertato la polizia belga che, fulminea, ha blindato per mezza giornata di interrogatori i due principali sospettati per poi restituirli alla libertà nel ruolo di incolpati.
Storia esemplare ricca di insegnamenti. Quello principale è la conferma che a Bruxelles la polizia federale, nei quinquenni fedele, è sempre all’erta, pronta a ripristinare l’ordine e la disciplina quando qualche sventato/a li turba. E inoltre la conferma di un fondamentale acquis communotaire: benché qualche cavilloso leguleio, ignaro del fatto che le regole fondamentali non sono mai quelle scritte, potrebbe sostenere il contrario, l’organigramma e la “politica estera” sono terreno di caccia riservata del/la mega presidente galattico/a. E che anche i candidati all’allargamento se lo ficchino bene in testa, senza consumarsi la vista con la lettura dei sacri testi dei trattati.
Teodoro Dalavecuras




