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Investimenti Esteri

Più Vietnam, meno Giappone: come cambia il commercio della Cina

La Cina sta riducendo le importazioni da paesi ostili come il Giappone e la Corea del sud, intensificando gli scambi con il Vietnam e perfino Taiwan. Ecco come stanno cambiando le supply chain di Pechino.

A modo suo, anche la Cina sta facendo il suo derisking: lo dimostrano i dati sugli scambi dei beni intermedi, che vedono il Dragone importare sempre di meno da vicini ostili come Corea del Sud e Giappone anche a costo, paradossalmente, di aumentare la dipendenza da Taiwan. Ma è il Vietnam il partner emergente di Pechino in un abbraccio che gli Usa cercano di ostacolare con significative controproposte. Ad emergere qui è però anche la persistenza di un processo di globalizzazione che si manifesta attraverso supply chain sempre più integrate anche a livello regionale.

Il rapporto Hinrich Foundation

Se si conduce una analisi econometrica degli scambi dei cosiddetti beni intermedi, come ha fatto la Hinrich Foundation qualche giorno fa in un rapporto di ricerca dedicato al “mito della deglobalizzazione” e ai modi in cui “le supply chain dell’Asia stanno cambiando”, scopriamo che quello della deglobalizzazione è per l’appunto un mito smentito da analisi che mostrano come “le supply chain globali hanno continuato ad espandersi negli ultimi cinque anni” evolvendosi e “determinando nuovi vincitori e perdenti nel commercio globale”.

Questa realtà emerge da una accurata analisi dei dati sugli scambi bilaterali tra gli Stati dei cosiddetti beni intermedi (intermediate goods: IG), ossia una classe di prodotti che rappresenta accuratamente la componentistica impiegata nelle supply chain e che va differenziata dai beni finali.

Dai dati emerge chiaramente che la narrazione su una deglobalizzazione che procede a colpi di nearshoring e friendshoring è infondata in quanto il commercio di IG tra le diverse regioni del mondo, da differenziarsi rispetto a quello infraregionale, risulta in calo, indicando che il nearshoring non è affatto o non è ancora una tendenza prevalente a livello globale.

Ciò che emerge dalla ricerca è invece una serie di indicazioni su come stiano cambiando le relazioni commerciali tra i Paesi e all’interno delle singole regioni evidenziando il grado con cui questi Paesi sono dipendenti l’uno dall’altro.

Il paradosso dell’intreccio Cina-Taiwan

Un dato molto importante emerge ad esempio dal commento al rapporto della Hinrich Foundation fatto da Quartz, che ha posto in evidenza la crescente dipendenza per gli IG della fabbrica del mondo cinese da Taiwan.

Stiamo parlando del più grande importatore ed esportatore al mondo di IG, di cui Quartz sottolinea il legame speciale con un’isola da cui proviene la maggior quantità delle sue importazioni di IG, con una quota sul totale passata dal 12,2% del 2018 al 14% del 2022.

“Nonostante l’escalation delle tensioni geopolitiche”, scrive l’autore del rapporto nonché economista di Oxford Economics Thang Nguyen-Quoc, “la Cina fa crescente affidamento su Taiwan per i suoi input” in una spinta “in parte guidata dalla forte domanda per semiconduttori avanzati espressa durante la pandemia”.

Meno scambi con Seul e Tokyo…

Ma non si può fare a meno di rilevare che nello stesso periodo in cui si legava maggiormente con l’isola che vuole annettere, il Dragone riduceva le importazioni di IG da due potenze della stessa regione considerate ostili come Corea del Sud e Giappone.

Mentre la percentuale di beni intermedi importati sul totale scendeva per la Corea del Sud dal 12,7% del 2018 al 10% del 2022, quella dal Giappone conosceva una parallela contemporanea contrazione dal 10.8% iniziale all’8,6%.

… e più con Hanoi e Giakarta

Non è tutto. Mentre riduceva la sua dipendenza dagli ingombranti vicini alleati di Washington, Pechino aumentava quella con due economie emergenti dell’area: Vietnam e Indonesia, da cui si sono intensificate le importazioni di IG, passate dal 3 al 4,2% nel primo caso, e dall’1,4 al 2,4% nel secondo.

Il caso Vietnam

I dati corroborano dunque l’esistenza di un processo di espansione del business cinese in Asia e in particolare in un Paese come il Vietnam affine ideologicamente e ugualmente partecipe di quei processi di globalizzazione che continuano a svilupparsi anche all’interno delle cornici regionali.

Non è un caso che Xi Jinping abbia fatto tappa nel vibrante Paese asiatico in una visita cominciata il 12 dicembre e salutata dai media cinesi come “un nuovo capitolo nelle relazioni Cina – Vietnam”.

Tanti i progetti infrastrutturali cinesi da celebrare in quell’occasione, ricordava allora Reuters, mettendo in evidenza quello di una linea ferroviaria che passerà per il Nord ricco di terre rare.

Ed è anche per questo spericolato abbraccio cinese che il Vietnam è non meno intensamente corteggiato da quegli Usa con cui la relazione bilaterale era stata rilanciata a settembre con la visita di Joe Biden, che è tornato a casa con in tasca importanti accordi su minerali e semiconduttori.

Appaiono significative le parole usate dai media cinesi in quell’occasione e riportate da Quartz: la Cina sta usando molte carote col Vietnam per convincerlo “a non unirsi a quel patchwork che è l’alleanza anticinese degli Usa”, ma è pronta anche a usare il bastone.

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