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Com’è stato possibile il piano di pace di Trump per Gaza. Parla il prof. Mayer

Conversazione di Michelangelo Colombo con Marco Mayer, docente al Master in Cybersecurity della Luiss, sul piano di pace di Trump per Gaza.

Perché è stato possibile un accordo sulla prima fase del piano di Trump?

La mia ipotesi è che, tra i numerosi fattori, i più rilevanti siano i seguenti:

  • il no senza se e senza ma del presidente Trump all’annessione di territori della Cisgiordania da parte del governo israeliano;
  • la minaccia del Qatar di tagliare i finanziamenti nonché di espellere tutti i dirigenti e tutte le organizzazioni di Hamas dal suo territorio;
  • l’iniziativa dell’Arabia Saudita nei confronti dell’Iran, la quale – pur contraria al piano di Trump – non ha sostenuto le posizioni più intransigenti di Hamas, provenienti soprattutto dall’ala militare di Khan Younis;
  • il protagonismo di Erdogan, dopo il vertice con Trump alla Casa Bianca, che ha fatto pesare in pieno il ruolo politico-miltare della Turchia che – non dimentichiamoci – è anche il secondo contributore di militari alla Nato.

E quale ruolo hanno avuto l’Egitto e la Giordania?

Come in passato, hanno dato un importante contributo al processo di mediazione. Ma aggiungo – anche se se ne parla poco – un dato importantissimo. Queste due nazioni, con il supporto degli Stati Uniti, si sono assunte una responsabilità assolutamente fondamentale: l’addestramento di diverse migliaia di nuovi poliziotti palestinesi, ai quali spetterà garantire la sicurezza nella Striscia sotto la guida di un’autorità tecnocratica palestinese e con la supervisione internazionale.

Perché è fondamentale?

Perché con il cessate il fuoco e con il ritiro parziale delle forze armate israeliane da Gaza c’è il rischio che alcuni gruppi locali fuori controllo di Hamas e/o del Fronte Popolare e/o della Jihad islamica riempiano il vuoto.

L’esperienza insegna che nelle prime settimane, nonostante la presenza di osservatori internazionali, le milizie armate cercano di mantenere il loro ruolo. Per questo il rapido dispiegamento di una nuova forza di polizia palestinese sarà un elemento decisivo affinché il disarmo di Hamas non resti sulla carta.

Sarà molto importante coordinare con intelligenza il disarmo dei miliziani e il ritiro delle forze armate israeliane.

Rispetto alle sue esperienze, come vede la prospettiva del disarmo?

In Libano con i miliziani di Hezbollah dopo vent’anni, purtroppo, siamo praticamente quasi al punto di partenza. In Kosovo è andata un po’ meglio con l’Uck, ma non nei primi sei mesi dalla fine dell’ostilità, periodo in cui hanno avuto il controllo del territorio.

Quali saranno le implicazioni per l’Italia?

Spero in una nostra presenza militare nei contingenti di peacekeeping, come ribadito stamani dal ministro Tajani.

Sul piano concreto, invece, vorrei invece che la politica e soprattutto la sinistra cambiasse atteggiamento mentale. È vero che Trump fa cose sbagliatissime sui dazi e che promuove una politica interna illiberale e oscurantista, ma,se Trump confeziona – come ho detto a Startmag – un buon piano di pace, perché non appoggiarlo nelle piazze e in Parlamento?

In una giornata positiva come quella di oggi, spero che il mio punto di vista venga accolto.

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