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Africa

Il piano alla Enrico Mattei che serve all’Africa

L’Europa deve presentarsi all'Africa credibilmente unita, e deve dare l’idea che il Mediterraneo sia davvero un tavolo di confronto e cooperazione. L'intervento di Paolo Pirani, consigliere del Cnel.

“Dall’Africa c’è sempre qualcosa di nuovo” assicurava Plinio il Vecchio. Oggi sotto l’incalzare dei flussi migratori sempre più imponenti potremmo sostituire quel “nuovo” con il termine “cruciale”. Il Mediterraneo, antico mare di contese, si è aperto, trasformato in un’impressionante via di fuga per popolazioni tormentate da enormi difficoltà con un paradosso: mentre famiglie intere cercano un qualche futuro soprattutto in Europa, i loro governi sembrano voler tracciare un percorso di intese e di una nuova adesione al multipolarismo antitetico al vecchio e nuovo colonialismo espresso dall’Occidente. L’Europa è vicina, non di rado con terribili drammi, per i barconi, ma per quel che rappresenta pare invece essere sempre più lontana dai Paesi di quel grande Continente.

L’EUROPA PAGA LE SUE INCERTEZZE SULL’AFRICA

Il legame implicito con la dimensione internazionale vicenda ucraina lo dimostra, come pure la tendenza di alcuni Stati chiave come il Sud Africa a cercare una collocazione nel gruppo dei cosiddetti Brics, insofferente non solo della sudditanza al dollaro ma in particolare a quel capitalismo finanziario dietro il quale non pochi gruppi dirigenti africani vedono la continuazione di pratiche coloniali. Anche in questo caso purtroppo l’Europa paga le sue incertezze e l’assenza di classi dirigenti all’altezza del difficile compito di aprire una pagina di collaborazione che cancelli la diffidenza motivata dei popoli africani. Se latita una proposta negoziale da parte dell’Europa verso Russia ed Ucraina, anche a causa di un rapporto subalterno con quel che significa la Nato sul piano militare e politico, non sembra vi sia la forza da parte dell’Unione europea di sopravanzare gli interessi degli ultimi rigurgiti colonialisti e offrire all’Africa un terreno completamente inedito di cooperazione. Torna, come si è letto in questi giorni, alla mente il cosiddetto piano Mattei che, per decenni nella prima Repubblica, ha suggerito alla classe politica italiana di allora una autonomia di giudizio e di scelte che in realtà rispondeva principalmente al rispetto di Stati che non dovevano più essere valutati secondo criteri da capitalismo di rapina.

Del resto, Mattei era spinto a fare accordi alla pari con Governi africani dal fatto che essi avrebbero sostenuto la ricostruzione della Italia liberata dal fascismo. Se questo era il principio ispiratore, non poteva certamente farsi strada una pratica predatrice. Questo valore appare tuttora attuale anche se necessariamente vanno tacitate, o, per meglio dire, “trasformate”, alcune visioni da grande potenza che allignano tuttora in alcuni governi europei, come pure vanno affrontare le pulsioni razziste che spesso derivano dalla paura della…grande invasione. Non regge molto neppure la “furbizia” di sostenere che gli sbarchi vanno fermati con la promessa di aiuti. Lo si vede chiaramente: una tale intenzione non basta più.

L’EUROPA UNITA E L’ESEMPIO DI MATTEI

Ci vuole un atteggiamento profondamente diverso che comprende insieme alcune scelte da compiere interne all’Europa ed altre di politica internazionale. L’Europa deve però presentarsi credibilmente unita: deve dare l’idea che il Mediterraneo è davvero un tavolo di confronto e di cooperazione. Lo può fare in vari modi, non in quello fallito di sostenere “false” primavere democratiche che hanno poi nutrito per una parte il fanatismo e per l’altra la disperazione. Occorre un vero e proprio atto di volontà politica che unisca insieme vari fattori. Cosa fece allora Mattei? Non mandò truppe e droni, bensì si garantì l’approvvigionamento con l’invio di tecnici in grado di formare classe dirigente. Una strada che l’Europa dovrebbe ampliare di molto, ma senza perdere tempo. E senza l’illusione di potere, come in passato, con arroganza e cinismo, ottenere quello di cui l’economia ha bisogno. Anche perché ora non è l’unica area del mondo in grado di dettare le sue condizioni. Anzi rischia di essere scavalcata per decenni da altri protagonisti emergenti e che hanno ben chiara una vocazione: l’egemonia.

Al tempo stesso anche l’affermazione dei diritti umani, fondamentali, deve essere sostenuta non dalla imposizione ma dal dialogo, dalla ricerca di scelte comuni che siano capaci di interrompere un cammino di sfruttamento che per molte persone africane non finisce mai.

È un terreno di lavoro duro, molto complesso ma che, ad esempio, può vedere emergere un’importante sponda dal punto di vista sindacale. Questo mondo nel passato ha dato asilo e sostegni, anche formativi, alle forze migliori dei movimenti di liberazione. Non ha imposto le sue regole, ha cercato di dimostrare che la libertà deve essere concepita anche come strumento di emancipazione, di crescita.  Sarebbe molto importante che i sindacati nazionali e quello europeo fossero sollecitati e sostenuti dalla politica ed anche dalle rappresentanze imprenditoriali a moltiplicare gli sforzi per realizzare quei “ponti” di cooperazione che sarebbero essenziali per recuperare i governi africani alla priorità indiscutibile della collaborazione. Altrimenti come si è osservato giustamente, l’Africa seguirà quel corso della storia che punta ad Oriente. Con altre grandi sofferenze e contraddizioni che saranno scaricate nel vecchio Continente. E quel “nuovo” di cui parlava Plinio probabilmente lo godranno altri e, forse, ma non è detto, viste le ambiguità dello scenario internazionale che non rassicura nessuno, sapranno metterlo al frutto meglio dell’Europa.

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