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Perché un’ora di coprifuoco è una questione di vita o di morte per i ristoratori

Se io uso tutte le precauzioni e posso stare al ristorante fino alle 22, cosa succede dalle 22 alle 23 affinché io non possa più starci? Il corsivo di Corrado Ocone

 

Messa così, come l’hanno presentata i giornali, sembra quasi un capriccio: la solita intemperanza del solito Salvini per dare un senso alla sua presenza nel governo e per non essere “scavalcato” da Giorgia Meloni nella difesa degli italiani esausti. Si può fare una battaglia così incisiva per un’ora in più o in meno di apertura? Ovviamente, chi ragiona così dimostra di non conoscere la vita reale. Né di chi lavora, né di chi come consumatore fa andare avanti l’economia di questo Paese.

E lo dico a ragion veduta, avendo frequentato i ristoranti per buona parte della mia vita. Sinceramente, se devo uscire da casa, soprattutto con l’estate incipiente e l’ora legale, per cenare alle 8 e tornare a casa come Cenerentola alle 10 (pardon, Cenerentola aveva un po’ più di libertà, perché a casa tornava a mezzanotte), beh preferisco non uscire proprio. Mi si dirà… “ma il virus, il contagio, i dati scientifici?” Io direi, per una volta, di essere seri: se io uso tutte le precauzioni e posso stare al ristorante fino alle 22, cosa succede dalle 22 alle 23 affinché io non possa più starci?

Come la nottola di Minerva, ovvero la più volgare civetta, anche il virus spicca il volo a quell’ora e diventa mille volte più virulento? Il buon senso mi dice che a fronte di nessun ulteriore contagio in un’ora, una cosa sola è sicura: i ristoratori perderanno cifre spropositate. In un’ora i contagi stanno fermi, ma il fatturato no. Se non lo si capisce, significa semplicemente che non si ha cognizione, ripeto, né di come funziona l’economia né della vita reale.

Se volete uccidere i ristoratori, almeno non prendetelo in giro!

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