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Perché serve un veto dell’Italia al Mes. L’appello di Capezzone (Atlantico Quotidiano)

Mes? "Occorre esercitare il nostro diritto di veto, dire no, e rinegoziare. Ecco perché". Proposta-appello di Capezzone (Atlantico Quotidiano) a istituzioni e partiti. Tutti i dettagli

Mes? “Occorre esercitare il nostro diritto di veto, dire no, e rinegoziare”. Per questo “è l’ora di una campagna civile e politica – seria, composta, non gridata, argomentata, razionale – per un veto italiano in sede Ue rispetto alla cosiddetta riforma del Mes, il nuovo Meccanismo Europeo di Stabilità”.

E’ in sintesi la proposta-appello che dalle colonne di Atlantico Quotidiano lancia Daniele Capezzone, giornalista ed editorialista, “atlantista e liberale classico” come si definisce Capezzone, che firma su La Verità, il quotidiano fondato e diretto da Maurizio Belpietro. Obiettivo: un veto dell’Italia al Mes (Meccanismo Europeo di Stabilità).

In vista della stretta finale sul trattato (qui e qui gli ultimi approfondimenti di Start Magazine), Capezzone si rivolge a istituzioni e partiti: “Ci pensino bene il capo dello Stato, il capo del governo, gli attori della maggioranza, i decisori politici a ogni livello. Si tratta di una scelta che rischia di essere molto presto oggetto di rimorsi. Siamo già dinanzi a una prospettiva di arretramento dell’economia europea: uno choc può sorgere da eventi imprevedibili (anche una crisi legata al commercio estero). Siamo comunque in presenza di una stagione incertissima. Non c’è alcuna ragione per affrontarla rendendoci più vulnerabili”.

Ecco di seguito un estratto della proposta-appello di Capezzone (qui la versione integrale su Atlantico Quotidiano):

“È l’ora di una campagna civile e politica – seria, composta, non gridata, argomentata, razionale – per un veto italiano in sede Ue rispetto alla cosiddetta riforma del Mes, il nuovo Meccanismo Europeo di Stabilità.

Il passato è passato: mi pare abbastanza chiaro che Giuseppe Conte (nella versione Conte uno) abbia colpevolmente dato un primo “via libera” l’estate scorsa, senza e poi addirittura contro una risoluzione parlamentare. E mi pare altrettanto chiaro che Giuseppe Conte e Roberto Gualtieri (nella versione Conte due) abbiano ridato semaforo verde questo inverno, puntando su una cosa che non c’era, e che ormai appartiene alla letteratura (euro)fantasy: il mitico “pacchetto” che avrebbe dovuto comprendere altre riforme europee. Si tratta di comportamenti gravi, com’è grave – a mio modo di vedere – il silenzio delle autorità istituzionali che li hanno di fatto avallati e autorizzati.

Chi scrive – diversamente da altri osservatori – ritiene che il livello troppo elevato del debito pubblico italiano sia un problema, e che sarebbe l’ora di affrontarlo in modo serio: con percorsi non certo di svendita (la sciagurata stagione delle svendite anni ’90 non va assolutamente ripetuta), ma di valorizzazione di alcuni asset patrimoniali, con la prospettiva di abbattere lo stock di debito.

Esistono da anni progetti, che hanno in comune la creazione di un fondo a cui conferire beni mobili e immobili: cito in ordine sparso un progetto Savona-Rinaldi (a mio avviso il più interessante), ma anche le pregevoli elaborazioni di Masera e di Forte. Un’operazione che in poco tempo abbattesse il livello di debito sarebbe il nostro vero scudo anti-spread, anti assalti politici anomali da Bruxelles-Parigi-Berlino, e ci darebbe anche un margine annuo per una consistente riduzione di tasse. Ma questa è solo una mia opinione: la si può condividere o meno, senza con ciò compromettere la condivisione del resto dell’articolo.

Non sono in linea di principio contrario (anzi!) a ombrelli europei, a forme di “assicurazione” sovranazionale per far fronte a crisi delicate. Da questo punto di vista, va detto che dire no alla riforma del Mes non ci lascerebbe nudi, ma con il Mes esistente. Quindi anche questo argomento da “project fear”, di chi sostiene che l’Italia debba per forza dire sì, va respinto.

Il punto che mi induce a dire no è che, pur non essendoci automatismo, la riforma del Mes rende più probabile (o, se volete, meno “eccezionale”), la dolorosa prospettiva di ristrutturazione del debito. La rende un attrezzo che è nel novero dei “tools” utilizzabili, con maggiore facilità del passato. Il solo fatto che questa cosa sia prevista, e il solo fatto che gli investitori sappiano – adesso – che in caso di crisi ci saranno Paesi che potranno accedere al soccorso senza condizionalità, ed altri (come l’Italia) che invece potrebbero essere sottoposti a pesanti penalizzazioni, fino alla ristrutturazione, cambia radicalmente le aspettative degli investitori.

E naturaliter li indurrà, davanti all’Italia, a chiedere rendimenti più alti per comprare i nostri titoli. Se anche non ci saranno “infarti”, il rischio di “soffocamento” (non necessariamente veloce) si fa più forte. E non c’è alcuna ragione per cui un Paese ad alto debito debba infilare la testa in questa ghigliottina”.

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