Pur alle prese con uno scenario internazionale da brividi, in cui si intrecciano paci improbabili e gravi allarmi, come il possibile ritorno in Europa alla leva militare, si vedrà poi se e come soltanto volontaria, Giorgia Meloni non si distrae di certo dalla politica interna. Dove ha segnato in poche ore, in una tempesta che sembrava in un bicchiere d’acqua, una rete da manuale infilandosi nella partita del campo largo che festeggiava con la solita enfasi le pur scontate vittorie della sinistra nelle elezioni regionali di Puglia e Campania.
Quando la segretaria del Pd Elly Schlein, invitata a partecipare alla festa nazionale del partito di Giorgia Meloni a Roma, ha posto come condizione un confronto diretto con la premier, pensando di segnare con ciò un punto nella partita con Giuseppe Conte per la leadership della pur improbabile alternativa al governo, la Meloni le ha tirato un tiro in porta, ripeto, di quelli imparabili.
In particolare, la premier ha controproposto alla Schlein, come condizione, di allargare il confronto a Conte, essendo anche lui un candidato alla sua successione a Palazzo Chigi, e non volendogli fare il torto, di calcolo o di cortesia, di agevolare l’immagine e la corsa della segretaria del Pd. Che, anziché fare buon viso a cattivo gioco, come qualcuno al Nazareno avrebbe dovuto forse suggerirle, ha ceduto alla paura di uscire male da un confronto a tre, a vantaggio contemporaneamente della Meloni e di Conte come veri antagonisti. Ha ceduto sottraendosi alla partita come a una trappola e definendo “ridicola” la proposta della Meloni nel frattempo accettata da Conte. Al quale non era parsa vera l’occasione offertagli.
Le tribune del campo cosiddetto largo si sono improvvisamente svuotate, un po’ come le urne elettorali, e la Schlein si è ritrovata a guardarsi più da Conte che dalla Meloni.



