Forse, secondo maliziosi osservatori delle cose di Palazzo, Mario Draghi chiamando in causa anche la Lega doveva per equilibri di governo controbilanciare per cercare di recuperare i Cinque Stelle e anche lanciare un segnale di rassicurazione al Pd, il cui segretario Enrico Letta, che ieri ha incontrato, oggi riunirà i gruppi parlamentari. Letta era rimasto per un paio di giorni di fatto silente sullo strappo dei grillini. Proprio loro, i suoi scomodi alleati del cosiddetto “campo largo”. Un silenzio che non poteva passare inosservato. Ma questo inevitabilmente ha generato irritazione nel centrodestra, che rivendica la sua centralità alla pari degli altri nell’esecutivo di tutti o quasi.
Il premier dopo aver lanciato il suo contro-ultimatum a Giuseppe Conte avvertendo che “con gli ultimatum” il governo non può lavorare e non avrebbe più “il suo senso di esistere” , dopo aver ribadito che non ci sarà un altro governo Draghi senza i pentastellati, ha controbilanciato chiamando in causa anche la Lega.
Pur non nominandola, ha lanciato un monito contro “gli sfracelli, le cose terribili annunciati per settembre”. Parallelismo che non poteva però far piacere a Matteo Salvini, il quale ha replicato mettendo subito in chiaro che “noi siamo gente serena, leale, perbene che non manda le letterine (riferimento a Conte, ndr), ma la nostra lealtà non è con la droga libera. Probabilmente la nostra bonomia è stata male interpretata. È da un anno e mezzo che la Lega è responsabile e leale”.
In sostanza, Salvini ha rimproverato implicitamente al premier di non aver esercitato nel confronti del Pd e della sinistra quella moral suasion necessaria per bloccare l’iniziativa parlamentare su cannabis e Ius scholae, temi “divisivi che non fanno parte dell’agenda di governo”, ha sempre detto. Salvini ne ha chiesto lo stralcio e, ribadendo il voto favorevole anche al Senato al decreto Aiuti, ha rilanciato chiedendo lo scostamento di bilancio, la pace fiscale e il taglio delle tasse, senza il quale non ci sarà né salario minimo né salario massimo, per far fronte alla difficile situazione economica.
E Silvio Berlusconi, che d’accordo con Salvini ha chiesto a Draghi per primo la verifica di maggioranza, per porre un alt alla “logica ricattatoria” e di “tornaconto elettorale”dei Cinque Stelle, ha fatto trapelare, come riportano alcuni siti, che non è “interessato alle poltrone”, per cui a questo punto se i Cinque Stelle insistono, se il quadro non si ricompone “si vada al voto” e ha avvertito: “Mai più in maggioranza con i grillini”.
Salvini si è limitato a dire di fronte alle telecamere che, se domani al Senato (dove il voto di fiducia coincide con quello sul decreto Aiuti) i pentastellati strapperanno, sarà una novità di cui prendere atto. Il leader leghista non ci sta a essere messo nei panni del guastatore dopo aver votato tutti i provvedimenti del governo di emergenza nazionale e averne anche pagato un prezzo salato in termini di consensi. E anche Berlusconi aveva già fatto notare nella nota di ieri che questo governo “è nato per il nostro senso di responsabilità, perché Forza Italia e il centrodestra se si fosse andati a elezioni avrebbero prevalso”.
Insomma, il centrodestra di governo, azionista decisivo alla pari degli altri nella maggioranza, non ci sta a far la parte dello spettatore in un film il cui protagonista sembra tutto sbilanciato a sinistra, in una questione di rapporti e diatribe interne, rincorse elettorali, tra Cinquestelle, Pd, Luigi Di Maio e eventuali nuovi scissionisti che lo seguiranno.
L’esecutivo di emergenza nazionale non era nato come terreno privilegiato del campo più o meno largo del Pd, ieri chiamato in causa dal numero due del Cav Antonio Tajani, in un’intervista a Il Giornale, per non aver cercato di frenare Conte nello strappo alla Camera dove i Cinque Stelle non hanno votato il decreto Aiuti. E anche Matteo Renzi ha fatto sentire la sua voce chiedendo un governo senza i Cinque Stelle, a questo punto.
Questa mattina Conte riunisce i suoi. Altro penultimatum?
Berlusconi in un’intervista a La Stampa dice che si può andare avanti anche senza I Cinque Stelle e richiama il Pd “a senso di responsabilità”. Ma il Cav afferma anche che Forza Italia “è pronta ad andare al voto” se il quadro non si ricompone.
Salvini in conferenza stampa questa mattina: “Silvio è un amico. Non ho ancora letto l’intervista. No a tentativi del Pd di cambiare regole del gioco, come la legge elettorale, all’ultimo; noi ci siamo se il governo va avanti sui temi del Paese: tasse, sicurezza, pensioni”. Ma se i Cinque Stelle domani non votano al Senato il decreto Aiuti “si ridia la parola al popolo. Sono d’accordo su questo con il mio omonimo fiorentino (Renzi, ndr) che ha detto: se bisogna andare avanti con le tiritera, meglio votare”.
Insomma, Salvini su questo è d’accordo con Draghi: questo governo è l’ultimo della legislatura. Comunque, fonti di Via Bellerio affermano: “la Lega non si augura la crisi, sono altri che stanno facendo e disfando, perdendo tempo. Cosi non si può andare avanti”.
La palla a Conte e quel che resterà dei Cinque Stelle.