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Polillo Fornero

Perché Polillo contesta le tesi di Elsa Fornero sulla patrimoniale

Non solo sulla necessità di un'imposta patrimoniale sugli immobili, l'ex sottosegretario al Mef nel governo Monti, Gianfranco Polillo, non concorda con le tesi di Elsa Fornero, ministro del Lavoro nel medesimo esecutivo. Ecco perché

Nuova provocazione di Elsa Fornero, dopo la sua contestata e discutibile riforma pensionistica, al tempo del Governo Monti. Questa volta la proposta è quella di un’imposta patrimoniale direttamente sul bene più prezioso degli italiani: la propria dimora. Ipotesi di per sé inquietante, che la mette in rotta di collisione, tra l’altro, sia con Romano Prodi, che con Mario Monti.

Con il primo è polemica aperta. La stessa Fornero, ricorda infatti, nel suo lungo articolo su La Stampa, che il padre nobile della sinistra italiana l’aveva vivamente sconsigliata dal cavalcare un simile argomento. “Si perdono le elezioni”: aveva giustamente osservato. Ma forse non è solo questa l’unica motivazione. Vi sono infatti robuste ragioni di carattere macroeconomico che possono scongiurare una simile eventualità.

Più meditato il confronto con Mario Monti, le cui posizioni, nel tempo, hanno subito una notevole evoluzione. Il padre dell’austerità italiana, in questi ultimi tempi, ha rivisto le proprie posizioni, fino a criticare le Nuove Regole del Patto di stabilità. Troppe meccaniche, nella loro formulazione definitiva. Sarebbe stato meglio attestarsi sulle originarie proposte della Commissione europea, che il Ministro delle finanze tedesche Christian Lindner, ha voluto emendare, per bassi motivi elettorali, in vista delle prossime scadenze europee.

Ma quali sono i meriti effettivi che Elsa Fornero può effettivamente vantare? La sua fuga in avanti in quella riforma pensionistica, che comportò un balzo di 7 anni nell’uscita dal mondo del lavoro, ha dato risultati opposti. Il rapporto tra la spesa pensionistica ed il Pil (do you remember il problema degli “esodati”) subì un vero e proprio balzo: dal 18,5 per cento del 2011 al 20,1 per cento del 2015 (dati di contabilità nazionale). Per poi scendere nel triennio successivo e quindi impennarsi bruscamente a seguito della pandemia.

L’errore fu quello di non considerare che la stessa spesa pensionistica è una variabile del Pil. Se questo non cresce in modo adeguato, quel rapporto tende, inevitabilmente, a deteriorarsi rendendo il peso di questo aggregato finanziario sempre meno sostenibile. Stessi negativi risultati si rischiano di ottenere, ora, nel teorizzare nuove “imposte patrimoniali sugli immobili”, senza avere una minima idea delle conseguenze che queste scelte possono avere sul complesso della situazione economica. Dato completamente trascurato nella vecchia/nuova proposta di patrimoniale.

In questo secondo caso, si partirebbe dalla necessità di abbattere il debito pubblico grazie all’aumento della pressione fiscale, perseguito con finalità perequative. Problema terribilmente serio, quello del debito pubblico italiano, ma proprio per questo motivo da trattare in modo responsabile. Ed allora è bene partire dai dati. Stando alle elaborazioni del FMI, in rapporto al Pil, quello italiano è l’ottavo più alto debito del mondo. Peggio dell’Italia, il Sudan, il Giappone, il Libano, l’Eritrea, Singapore ed il Venezuela. Nel periodo che va dal 1991 al 2023, inoltre, esso è cresciuto del 136 per cento. Quando, nello stesso intervallo di tempo, quello dei Paesi del G-20 è aumentato del 226 per cento.

Questo confronto dimostra due cose. Ancora oggi l’Italia paga lo scotto degli anni ‘70 ed ‘80, con un dato di partenza (1991) allora già pari al 105,5 per cento. Anni che segnarono, com’è noto, l’avvicinarsi al potere delle sinistre: a partire dalla strategia del “compromesso storico”. Nel periodo più recente invece lo sforzo per contenerlo è stato maggiore rispetto a quello degli altri Paesi del G-20. Circostanza che contribuisce a spiegare, nonostante le incertezze del più generale quadro economico, la forte tenuta degli spread: 157,6 punti base l’ultima chiusura.

Quindi una prima conclusione: quello del debito è un problema indubbiamente serio e preoccupante, ma non così drammatico da ipotizzare politiche sconsiderate. Quali sarebbero infatti le conseguenze di una patrimoniale? Per rispondere al quesito, si possono utilizzare i dati Eurostat, elaborati nell’ambito delle procedure per gli squilibri macroeconomici. Dal 2011 al 2022, il prezzo delle abitazioni nell’Eurozona è cresciuto in media al ritmo del 7,7 per cento all’anno. In Italia, invece, si è registrata una perdita del 3 per cento. Che colloca il Bel Paese all’ultimo posto della classifica generale. Peggio dello stesso Cipro: meno 2.8 per cento.

Devastanti le conseguenze di una perdita che, in dodici anni, è stata pari al 30 per cento del valore iniziale. Nel 2005, secondo i dati di Banca d’Italia che la Fornero non vede, le famiglie italiane godevano di un primato internazionale. Nel 2005 la loro ricchezza finanziaria netta era pari ad 8,2 volte il reddito disponibile. La più alta tra i Paesi concorrenti. La Francia era ferma a 7,2. La Germania a 5,0. La Spagna non esisteva. Oggi il recupero di questi Paesi è stato impressionante. La Spagna ha raggiunto un valore pari a 9,6. La Francia a 8,6. La Germania a 6,8. L’Italia è rimasta più o meno ferma: 8,7 volte il reddito lordo disponibile

Questo risultato, nonostante il crollo dei prezzi dell’immobiliare, è stato ottenuto a caro prezzo. Le formiche italiane, preoccupate della perdita di valore del proprio patrimonio, che non è un “totem”, come dice la Fornero, ma un’assicurazione per la vecchiaia, hanno contratto i consumi ed accentuato la loro propensione al risparmio. È stato il cosiddetto “effetto ricchezza”, quel fenomeno cioè che lega il livello dei consumi alla crescita o decrescita del valore degli asset mobiliari o immobiliari, che si è subito manifestato. Di conseguenza la domanda interna ha subito una crescente compressione, per cui la modesta crescita del Pil è stata sempre più conseguenza della trazione del commercio internazionale. Che, ovviamente, più di tanto (l’Italia non è la Germania) non poteva dare.

Ed ecco allora la grande contraddizione che Elsa Fornero sottovaluta. Contenere il rapporto debito/Pil comporta una gestione attenta delle finanze pubbliche, ma soprattutto un tasso di crescita adeguato. Se questa combinazione non si realizza, come dimostrato seppur tardivamente da Oliver Blanchard ex capo economista del Fmi, la regressione risulta inevitabile. Prendersela con Giorgia Meloni, presunta responsabile di “atteggiamenti di aperta indulgenza se non di implicito incoraggiamento” nei confronti “dell’evasione fiscale”, non ha, quindi, senso alcuno. Per il semplice fatto che le tasse non sono state mai “bellissime”, come diceva Tommaso Padoa-Schioppa. Sono, al contrario, una necessità. In conflitto, tuttavia, con gli altri valori dello Stato democratico. Da maneggiare, pertanto, con grande cura e senso di responsabilità.

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