skip to Main Content

Perché ora il capitalismo punta sulla riconversione verde. Il pensiero di Ocone

Al capitalismo ciò che interessa è la riconversione, che poi sia verde o non verde è secondario. Solo mettendo in atto quel processo di “distruzione creatrice” shumpeteriano il capitalismo può ritornare a dare profitto agli imprenditori e crescita e sviluppo a tutti. “Ocone's corner”, la rubrica settimanale di Corrado Ocone, filosofo e saggista.

 

A chi è abituato a leggere la realtà guardandola sempre dal lato meno appariscente, che è poi quello del conformismo dei tempi, l’ambientalismo che si fa ideologia, e anzi diventa una vera e propria “religione secolare”, non può che dar fastidio. Tanto più se la sua pervasività non è suffragata da dati scientifici non controversi e tanto più se essa indirizza politiche interventistiche a largo raggio e burocratizzate. Eppure, l’onestà intellettuale ci impone di vedere le cose in un’ottica più ampia, considerando tutti gli aspetti, anche quelli più contraddittori, della questione.

Ora, è indubbio, come ci ricorda quel colto e fine intellettuale che risponde al nome di Gennaro Malgieri, che il rispetto dell’ambiente non sia una prerogativa della sinistra, ma che anzi, richiamando il senso della terra e della sua custodia e curatela, è un tipico valore conservatore. Ma la riflessione che qui voglio fare è di altro tipo.

Mi fa infatti molta impressione l’unanimità o quasi con cui il mondo industriale si è fatto patrocinatore, negli ultimi tempi, delle “politiche verdi”. Credo sia semplicistico dire che ciò sia accaduto per una endemica volontà di captatio benevolentiae degli industriali nei confronti dei poteri politici, o per altre poco nobili ragioni.

Io continuo a pensare che il fine (legittimo) dell’imprenditore sia ancora e unicamente il profitto e che, anche inconsciamente, chi fa impresa non abbia, né deve avere, altri scopi sostanziali. Io perciò vedo all’opera, in questa adesione, una sorta di “mano invisibile” che ha individuato l’unico modo per il capitalismo di uscire dalla crisi in cui versa: riconvertirsi.

Ora, questa riconversione può essere ammantata anche di fini morali, quali sono quelli di un mondo “sostenibile” e di una “economia circolare”, ma il fatto è che l’accento, in questo caso, cade sul mezzo più che sul fine.

Al capitalismo, che qui a me fa comodo (contro gli insegnamenti hayekiani) identificare quasi fosse una sostanza di fatto, ciò che interessa è la riconversione, che poi sia verde o non verde è secondario.

Solo mettendo in atto quel processo di “distruzione creatrice” che gli è coessenziale (come ci ha insegnato Joseph Schumpeter), il capitalismo può infatti ritornare a dare profitto agli imprenditori e crescita e sviluppo a tutti. Quasi come per intuito, gli imprenditori concreti, in carne ed ossa, sentono questa necessità, e saltano sul carro di chi, con le sue idee, può permettere loro di soddisfarla. Ripeto; cosa legittima, e per i fini ultimi della società direi encomiabile. Se così stanno le cose, due postille sono però da trarre dal mio discorso.

Quando dico che il capitalismo è in crisi, vorrei che fosse ben chiaro che lo è non per una contingenza, o perché sia stato particolarmente avido e cattivo negli ultimi tempi, ma perché la crisi è ad esso strutturale. I cicli economici sono il frutto del maturare periodico delle sue contraddizioni, che esso però supera non in modo risolutivo e millenaristico, come avrebbe voluto che fosse Karl Marx, ma nell’unico modo che è possibile e auspicabile: vivendole fino in fondo e portandole appunto a maturazione.

È proprio questo suo carattere contraddittorio e questo suo essere in crisi perenne che fa del capitalismo, inteso come liberalismo economico, il miglior sistema economico sinora conosciuto, quello più aderente al carattere sbilenco della vita e all’ essenza “storta” dell’umanità.

C’è un pericolo però da considerare: che prevalga una visione della crescita in senso negativo, cioè come decrescita e come critica a una presunta volontà appropriatrice dell’uomo sulla natura.

Dovrebbe invece essere chiaro che solo lo sviluppo della tecnica e del capitalismo, dell’industria e dell’impegno umani, può risolvere le contraddizioni che la stessa tecnica e lo stesso capitalismo come fatti umani hanno creato.

Back To Top