Skip to content

quota 100

Perché non dico “bravo Renzi”

Il gioco di Renzi non vale la candela: per passare da un governicchio ad un altro, non è responsabile rischiare che una crisi conduca il Paese allo sbando. L'opinione di Giuliano Cazzola

“Un discorso che evidentemente non è piaciuto nei luoghi più oscuri della politica politicante. Ma che ha rappresentato una ventata nuova in un mondo reso esangue dagli eccessi di opportunismo. Dai trasformismi, un po’ vigliacchi di una stagione infinita che ha quasi completamente distrutto il Paese’’.

Così il mio amico Gianfranco Polillo ha commentato le dichiarazioni del leader di Italia Viva in conferenza stampa. Ha ragione.

Come hanno ragione quanti in queste ore sembrano tirare dei sospiri di sollievo nella speranza di una cesura netta con una politica che non era in grado di uscire dalla trappola dall’emergenza sanitaria e della pratica dell’assistenzialismo dei ristori.

Si torna a navigare in mare aperto, dunque?

A mio parere durante la conferenza stampa l’ex premier ha commesso un solo errore: molto grave però.

Ha parlato come se avesse letto il saggio di Fabrizio Barca ed Enrico Giovannini, presentato nei giorni scorsi, dal titolo “Quel mondo diverso. Da immaginare, per cui battersi, che si può realizzare” (Laterza); e fosse convinto di vivere in un altro Paese, con un sistema politico in grado di compiere quel salto di qualità che il leader di IV richiede e che quindi ritiene possibile.

Giacché non è un visionario e conosce benissimo i suoi polli, Renzi è consapevole che non esiste un governo in grado di fare quanto sarebbe necessario in Italia, con questo Parlamento. Anzi, è molto più probabile che le cose peggiorino.

Renzi – lo ha detto anche ieri – è il king maker della maggioranza e del governo che ha messo in crisi. E fu, in quella occasione, tanto lucido da convincere i partiti ad aderire al suo progetto perseguendo due precisi obiettivi: riconciliare l’Italia con l’Europa; fare eleggere il nuovo Capo dello Stato da un Parlamento a maggioranza europeista. ‘’Vaste programme’’ avrebbe detto il Presidente De Gaulle.

Queste motivazioni non sono venute meno, anzi sono diventate sempre più attuali.

Se è stato importante, nell’estate del 2019, tagliare la strada alla ‘’marcia trionfale’’ di Matteo Salvini verso i ‘’pieni poteri’’ compiendo il ‘’miracolo’’ di una nuova maggioranza, ha senso mettere in pericolo quel risultato, quando in gioco c’è molto di più adesso che allora?

In un film della saga di Brancaleone, tocca alla sua ‘’armata’’ di straccioni difendere una rocca dalle scorribande dei saraceni sulle coste dell’Italia meridionale. I nostri eroi sono talmente imbranati che finiscono per cadere nella trappola preparata per gli avversari, i quali conquistano il bastione senza colpo ferire.

E se la crisi aprisse le porte ad elezioni anticipate, ad una vittoria del centro destra che, peraltro, si troverebbe a dover gestire la spartizione di un Piano Marshall europeo predisposto anche con la finalità di aiutare l’Italia a non ricadere tra le braccia di Salvini?

Il gioco di Renzi non vale la candela: per passare da un governicchio ad un altro, non è responsabile rischiare che una crisi conduca il Paese allo sbando.

Il Next Generation EU – Renzi dovrebbe saperlo – non rappresenta soltanto un programma economico, ma pretende pure un salto di carattere politico: attenersi al pilota automatico di Bruxelles.

Non c’è bisogno di chiedere a un governo italiano di scrollarsi di dosso l’inerzia: è sufficiente che accetti di farsi guidare dall’Unione.

Cosa che un governicchio sovranpopulista non farà mai. A me non pare che si tratti di una differenza insignificante.

Torna su