Se Milena Gabanelli e Claudio Gatti, nel loro ultimo intervento su Il Corriere della sera (Dataroom del 1 dicembre), avessero ragione, Donald Trump potrebbe essere accusato di intelligenza con il nemico, oltre che di autolesionismo. Non sarebbe la prima volta. Basti ricordare personaggi come Julius Rosemberg: che fu condannato, insieme alla moglie Ethel, per essere stato una spia della Russia Sovietica. E di aver fornito a Mosca importanti informazioni concernenti il nucleare. Erano gli anni ‘50 ed imperversava il maccartismo, con tanto di caccia alle streghe. Finirono entrambi sulla sedia elettrica, nonostante le proteste ed i dubbi sulle loro effettive colpevolezze.
Ancora oggi un caso controverso. Non tanto per Julius, nei confronti del quale le prove erano più che consistenti. Ma nei confronti di Ethel, che pagò il fio di non voler rilevare i nomi degli altri componenti la cellula comunista, della quale entrambi facevano parte, per evitare un cattura “a strascico” dei membri del Partito. Un atteggiamento che denotava il clima “eroico” di quei tempi: in cui il confine tra il bene ed il male era ancora evanescente. Si poteva essere quindi americani, ma al tempo stesso voler evitare che solo un Paese godesse del privilegio unico della deterrenza nucleare. Motivazioni che oggi non avrebbero più moneta corrente.
Ne deriva che se veramente esistesse, oggi, un “asse occulto Usa-Russia”, come paventato dai due autori, teso “alla disgregazione dell’Unione europea”, ben altre sarebbero le motivazioni. Non il tragico idealismo di quegli anni di ferro, ma il becero rapporto di interessi che lega i membri delle élite al di là delle differenze di latitudine, delle storie personali e collettive, del credere diverso nei principi della democrazia. Di tutto ciò, esistono voci, ovviamente, teoremi, gossip e veline. Ma è ancora troppo poco per giungere a sentenza.
Ma ammettiamo pure che sia tutto oro quello che riluce. Quale sarebbe l’interesse di Donald Trump? Un Europa più debole e malmessa aumenterebbe o diminuirebbe la forza competitiva del Tycoon nei confronti degli altri pretendenti? Sarebbe quindi una scelta da favorire o configurerebbe l’ipotesi di un autentico autogol? Rispetto alla Russia, dubbi non ve ne sono. Un’Europa più debole, spingerebbe Mosca ad essere ancora più determinata, nel rivendicare ulteriori “spazi vitali”. A rimettere in discussioni gli equilibri politici nati all’indomani del crollo del muro di Berlino. Recuperando quanto perduto a seguito del suo collasso interno. A danno di tutto l’Occidente, ma anche degli stessi Stati Uniti d’America.
Non basta, allora, catturare frasi dal sen fuggito, per costruirvi intorno teoremi geopolitici. Indubbiamente giudizi, come quelli ricordati dai due autori, lasciano basiti. Affermare che “l’Europa è stata creata per fregare gli Stati Uniti”, come ha detto Trump, non solo è un falso storico, ma disconosce il ruolo avuto da Washington stesso, fin dall’immediato dopoguerra con il “Piano Marshall”, nell’indirizzare la “ricostruzione” degli ex nemici su base continentale. Mentre per quanto riguarda le presunte opere di saccheggio, ruberia e spoliazione, sempre denunciate dal Presidente degli Stati Uniti, è bene intendersi. Lo scorso anno il loro contributo alle spese Nato è stato pari a 967,7 miliardi di dollari. Quello tedesco, il più forte e ricco Paese europeo, a 97,7. Non si sarà trattato di una ruberia, ma certo non di una giusta ripartizione.
Ci sono quindi ragioni oggettive che giustificano il malcontento americano, specie in un momento in cui la loro economia mostra evidenti segnali di surriscaldamento, sul piano della finanza pubblica (eccesso di deficit e di debito) e la stessa economia reale ha il fiato corto. Mentre in Europa c’è chi – valga per tutti l’esempio di Giuseppe Conte, capo dei 5stelle – un giorno sì e l’altro pure conciona contro l’aumento delle spese militari. Che dovrebbero fare gli Usa? Dire: non vi preoccupate alla vostra difesa provvede con solerzia il generoso popolo americano?
Non si vede pertanto quale possa essere l’interesse americano ad indebolire l’Europa. Tanto più se si considerano i possibili contraccolpi su un piano più generale. Tra i Paesi del G7, quattro (Germania, Francia, Italia e Gran Bretagna) sono europei. A loro volta Giappone e Canada, specie il primo, rappresenta il baluardo più avanzato nella complessa situazione nell’Indo Pacifico. Terremotarne dall’interno la struttura, può significare soltanto compiacere la Cina di Xi Jinping. C’erto c’è sempre la speranza di un Kissinger alla rovescio. Vale a dire dividere la Cina dalla Russia. Ma chi fantastica in materia, non ha il senso reale delle cose. Rispetto agli anni ‘70 i rapporti tra quei due mondi si sono completamente rovesciati. Ed oggi la Russia rappresenta, solo una minima parte del potenziale cinese.
Ma per tornare ai nostri eroi ed al loro studio approfondito sulle correnti del sovranismo americano. Che negli States vi siano personaggi, centri culturali, fondazioni e via dicendo, con il gusto della provocazione, non è storia recente. Vi sono sempre state. Forse oggi sono più conosciute, grazie ai nuovi strumenti della comunicazione. Essendo in grado di incidere maggiormente è pertanto un bene mantenere nei loro confronti la guardia alta. Ma senza esagerare nel giudizio. In passato una lobby particolarmente agguerrita era quella della grande finanza contro la nascita dell’euro. Si temeva allora per il signoraggio del dollaro. Auspicando di conseguenza, che il sogno europeo svanisse con le prime luci del giorno.
Al contrario, la lobby delle grandi imprese americane esportatrici, era favorevole allo sviluppo del mercato unico, la cui costruzione ne avrebbe ridotto, e non di poco, la precedente segmentazione. Con un forte risparmio di risorse, il diffondersi di regole uniformi ed una minore burocrazia nazionale. Fu quella una contesa che andò avanti per anni. Investendo non solo il dibattito politico, ma coinvolgendo università e centri di ricerca. Ed ancora oggi, basta un minimo stormir di foglie, per riaccendere la discussione. Nel frattempo l’euro si è consolidato e fa aggio sul dollaro. Il mercato unico, specie in settori importanti come l’Unione bancaria, è ancora in fase di rodaggio. Se non peggio. Situazioni che vanno avanti per conto loro, nonostante gli opposti anatemi. E così sarà anche nell’immediato futuro. Trump o non Trump come inquilino della Casa Bianca.
Resta sullo sfondo l’interrogativo con il quale non solo Donald Trump, ma l’America tutta, è chiamata a fare i conti. La corsa in solitario, tanto cara alla cerchia più ristretta dei MAGA, è lo strumento più utile per contrastare le altre due grandi potenze rivali? La Cina soprattutto? O non finiranno tutti per lavorare, seppure inconsapevolmente, per il re di Prussia?




