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Covid Germania

Perché Merkel ha paura della Brexit

Il commento di Tino Oldani, firma di ItaliaOggi

A Berlino e a Parigi si sta facendo strada l’ipotesi di rinviare la Brexit oltre il 29 marzo. La prima a parlarne è stata Nathalie Loiseau, ministro francese per gli Affari Ue: a suo avviso, l’estensione dell’articolo 50 del trattato sull’Unione europea, che prevede due anni di tempo per l’uscita dall’Ue del paese che abbia deciso di farlo, sarebbe «possibile, ma non facile». A ruota è intervenuto il ministro dell’Economia tedesco, Peter Altmaier, fedelissimo di Angela Merkel, il quale nel suo intervento al World economic forum di Davos ha detto: «Non mi importa se il Regno Unito avrà bisogno di più tempo per chiarire la sua posizione». L’obiettivo di questa apertura franco-tedesca è concedere agli inglesi più tempo per decidere su tre opzioni: «deal» (accordo con l’Ue), «no deal» (vale a dire hard Brexit, uscita dall’Ue nel caos), oppure rinviare ancora di qualche mese la decisione finale.

Quest’ultima opzione è consentita dal trattato sull’Unione europea. L’articolo 50 recita: «Ogni Stato membro può decidere di recedere dall’Unione conformemente alle proprie norme costituzionali». L’uscita del Regno Unito dall’Ue è stato deciso dal referendum del 23 giugno 2016 (51,89% pro Brexit). Il processo di uscita è però iniziato il 29 marzo 2017, quando la premier Theresa May notificò con una lettera al presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, la decisione britannica. Le procedure in vigore prevedono che i trattati europei cessano di essere applicati allo Stato uscente a partire dalla data dell’accordo, oppure, in mancanza di esso, entro due anni dalla notifica. Da qui l’origine del 29 marzo 2019 come giorno della Brexit. Un termine che tuttavia non è affatto tassativo, come si è fatto credere finora, in quanto le norme Ue prevedono che lo Stato uscente e il Consiglio europeo «possono accordarsi nel prorogare tale termine».

Su questa ipotesi di proroga dell’articolo 50 dovrà pronunciarsi settimana prossima il parlamento inglese. Ed è interessante scoprire che, in Europa, i maggiori tifosi del rinvio sono in Germania, segnatamente le organizzazioni degli industriali tedeschi, di cui il governo di Angela Merkel ha deciso di difendere gli interessi. Le ragioni di questa scelta sono ampiamente raccontate dal sempre bene informato German Foreign Policy.

Attualmente il Regno Unito è il secondo mercato, dopo gli Stati Uniti, destinatario degli investimenti diretti tedeschi, con oltre 120 miliardi di euro. Non solo: è anche il quinto più grande mercato di vendita per le aziende tedesche, che vedono nella Brexit una minaccia molto seria. Il solo parlare di Brexit, ha dichiarato Eric Schweitzer, presidente della Camera dell’industria e del commercio tedesca, ha già causato una diminuzione del 5% delle esportazioni tedesche verso il Regno Unito. Le tariffe doganali che, in base alle norme della Wto, entrerebbero in vigore in caso di hard Brexit, solo per gli esportatori di auto tedesche potrebbero comportare maggiori oneri per circa due miliardi di euro l’anno. Non solo. In Germania più di 750 mila posti di lavoro dipendono dalle esportazioni verso la Gran Bretagna, posti che saranno in pericolo a partire dal 29 marzo in caso di Brexit senza accordo con l’Ue: vale a dire alla vigilia delle elezioni per il parlamento europeo. Un motivo in più perché la Merkel e il suo fedele ministro dell’Economia Altmaier stiano facendo di tutto per scongiurare un simile rischio.

Che una hard Brexit sia vista quasi con terrore dal mondo economico tedesco, è confermato, riporta German Foreign Policy, anche dall’Iw, Istituto dell’economia tedesca) di Colonia, secondo il quale le eventuali barriere doganali potrebbero fare crollare gli scambi commerciali con la Gran Bretagna, provocando perdite per la Germania superiori a 40 miliardi di euro. Concetto ribadito da Joachim Lang, presidente della Federazione delle industrie tedesche: «Per la Germania, l’uscita disordinata del Regno Unito vorrebbe dire mettere a rischio un volume di commercio estero bilaterale di oltre 175 miliardi di euro l’anno. Si rischierebbe una immediata e clamorosa recessione dell’economia britannica, che anche in Germania non passerebbe inosservata. La mancanza di chiarezza, infatti, metterebbe a repentaglio decine di migliaia di aziende tedesche e centinaia di migliaia di posti di lavoro». Preoccupazioni analoghe ha espresso anche il ceo di Deutsche Bank, Christian Sewing: «Una Brexit non regolamentata costerebbe al resto dell’Ue almeno mezzo punto del pil».

A spingere la Merkel a dare più tempo al governo di Theresa May per decidere il da farsi, pur di non perdere il ricco mercato inglese, vi sono poi le previsioni negative sull’andamento dell’economia tedesca e mondiale. La crescita del pil tedesco è scesa dal 2,2% del 2017 all’1,5% del 2018, il dato più basso dal 2013. Inoltre vi sono segni di rallentamento provenienti dal resto del mondo, soprattutto dai paesi con cui Berlino ha il maggiore interscambio commerciale, come la Cina (terzo mercato tedesco di esportazione, dopo gli Usa e la Francia), dove la guerra dei dazi con gli Usa di Donald Trump sta provocando una crescita più lenta, con inevitabili ricadute negative sull’export tedesco. Anche per questo il partito più forte del Remain sembra ora di casa più in Germania che sulle rive del Tamigi.

 

Articolo pubblicato su ItaliaOggi

 

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