Per trovare davvero insieme Giorgia Meloni ed Elly Schlein, in ordine alfabetico ed elettorale dopo il voto per il rinnovo del Parlamento europeo, bisogna ricorrere o a qualche fotomontaggio o a qualche foto d’archivio, ritratta per incontri casuali o di circostanza. I loro avversari, nascosti neppure tanto all’interno anche dei rispettivi schieramenti, sono riusciti nelle scorse settimane a scongiurare quel confronto o duello diretto in televisione al quale le due prime donne d’Italia erano disponibili con la conduzione di Bruno Vespa alla Rai. Ora quegli avversari, ripeto, se le trovano prepotentemente imposte come protagoniste dalla realtà certificata con risultati elettorali dei quali ancora qualcuno dubita, tanto dev’esserne stato sorpreso. “Dov’è la vittoria?”, si sono chiesti, per esempio, al manifesto, dove pure c’è una certa tradizione di acutezza, e di spirito.
La vittoria, ripeto, è nei numeri elettorali della premier e leader della destra italiana e della segretaria del Pd. La sconfitta, per rimanere in Italia, è nel risultato da ortaggio o frutta al supermercato di Giuseppe Conte, con quel 9,99 per cento, per non dire 10, toccato dai grillini come loro minimo storico. E in quel terzo posto cui è scesa nel centrodestra la Lega di Matteo Salvini, “tradito” nelle urne -hanno detto gli amici- anche dal fondatore del partito Umberto Bossi, andato a votare in carrozzella.
C’è una vignetta di ItaliaOggi che immagina bene un brindisi fra la Meloni e la Schlein che stringono in pugno non bicchieri ma le teste, rispettivamente, di Salvini e di Conte. Il quale si è immerso in una dichiarata e scomoda, per quanto meno, riflessione per come ha ridotto il MoVimento 5 Stelle con la sua ambizione ad imporsi ai “progressisti”, come li chiama, quale ricandidato a Palazzo Chigi. Da dove probabilmente egli si ritiene ancora estromesso ingiustamente nel 2021 a vantaggio di un Mario Draghi che aveva considerato troppo stanco delle fatiche a Francoforte, come presidente della Banca Centrale Europea, per volergli succedere.
Persino al Fatto Quotidiano, dove è stato definito in passato il migliore dei presidenti del Consiglio dopo Camillo Benso di Cavour, lo ritraggono o propongono in posa dimessa. Lo stesso direttore Marco Travaglio, al solito ospite del salotto televisivo di Lilli Gruber, ne ha dovuto parlare come del grande sconfitto delle elezioni europee.
Le due donne vincitrici, e insieme antagoniste, separate ora da un modesto 5 per cento dei voti dei rispettivi partiti, si apprestano a convergere in Europa, salvo complicazioni, per confermare la tedesca e popolarista Ursula von ver Leyen alla presidenza della Commissione di Bruxelles. E la contiana Notizia, giornale orgogliosamente pentastellato, titola e commenta in tono drammatico: “Cresce il voto pacifista ma se Ursula ottiene il bis a comandare resta il partito della guerra”. Alla Russia di Putin, che forse si aspettava ben altro dalle urne europee.