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Perché l’India sarà il jolly Usa nella geopolitica

Per ora i legami dell’India con le democrazie asiatiche e occidentali hanno poca probabilità di trasformarsi in alleanze. Ma prima o poi l’India è destinata a far parte del blocco delle democrazie a guida USA in funzione anticinese. L'analisi di Carlo Jean

 

La fine della guerra fredda, a cui è seguita nell’ultimo decennio la “pace calda” fra Washington e Pechino, la globalizzazione e la crescita economica e militare della Cina, determinandone una nuova aggressività anche sulla frontiera himalayana, hanno modificato la geopolitica dell’India. Ne hanno reso impraticabile l’isolamento dal “grande gioco” delle maggiori potenze. L’espansione dell’influenza della Cina nell’Oceano Indiano e in Pakistan e la sua aggressività sulla frontiera himalayana la coinvolgono direttamente. La sua economia si sta integrando in quella globalizzata. Ha disperato bisogno di investimenti e di trasferimenti tecnologici dall’estero.

Nonostante tali mutamenti, New Delhi si sforza di seguire i principi che ne hanno informato la politica estera dall’indipendenza: non allineamento con i due poli del mondo bipolare e ricerca del multilateralismo. E’ persuasa che solo essi possano consentirle la flessibilità necessaria per conseguire i suoi interessi nazionali di autonomia strategica e di sforzi per trasformare in reali le sue potenzialità economiche e politiche, connesse con la crescita demografica, che la renderà fra qualche anno più popolosa della Cina.

Le sue ambizioni sono per ora moderate dall’instabilità interna, dalla scarsità di risorse economiche e militari, dalla ritrosia alla proiezione esterna di potenza, dalla persuasione di essere protetta dalla geografia. A Nord ed Est da montagne e deserti; nell’Oceano Indiano dalle isole Andeman e Nicobar trasformate in fortezze, che controllano gli accessi allo Stretto di Malacca. L’instabilità deriva dalla pluralità di etnie, lingue e religioni e dalla frammentazione dello Stato. L’India non può contrastare l’influenza cinese nell’Oceano Indiano e nell’Asia Meridionale, che considera zona di suo esclusivo controllo. La prima è basata sulla cd “collana di perle”, cioè sulla catena di basi che si estendono dalla Malesia al Mar Arabico e alle coste africane. La seconda deriva dall’alleanza con il Pakistan, nemico tradizionale dell’India, e dalla vulnerabilità dei territori del Nordest. Da queste ultime deriva la necessità di dare priorità alle difese terrestri. Il 56% del bilancio indiano della difesa è destinato all’Esercito. Alla Marina solo il 15%. Il 29% all’Aeronautica, alle forze nucleari e alle spese comuni.

Finora, la relativa indipendenza indiana nel contrasto fra la Cina e gli USA è stata resa possibile dal mantenimento degli ottimi rapporti sempre avuti con Mosca, sua principale fornitrice di armamenti. Essi rischiano però di essere erosi dai legami sempre più stretti fra la Russia e la Cina, dai rapporti amichevoli della Russia con il Pakistan, iniziati nel 2015 ma oggi messi a rischio dal sostegno pakistano ai Talebani afgani e, in terzo luogo, dal miglioramento dei rapporti dell’India con gli USA. La Russia può offrire ben poco all’India eccetto armi e energia. L’interscambio commerciale fra i due paesi ammonta a poco più di 10 mld di $, mentre quello con gli USA è di 150.

L’India costituisce il “jolly” degli USA per costruire un nuovo ordine mondiale compatibile con i loro interessi, superando la competizione con la Cina. E’ elemento essenziale del cd “Blocco delle Democrazie” promosso da Joe Biden. Come tale, ha partecipato all’ultima riunione del G-7 e sta accrescendo i legami non solo economici ma anche politici e militari con gli USA. Basti pensare al dissolversi delle perplessità dell’India verso il QUAD (India, USA, Giappone e Australia) e le sue esercitazioni navali, al sostegno USA per l’ammissione di New Delhi a membro permanente del Consiglio di Sicurezza e al Nuclear Suppliers Group, alla cessione di tecnologie critiche e al permesso di New Delhi al rifornimento dei P-8 Poseidon Usa su sue basi.

I contrasti fra l’India e la Cina sono insanabili, malgrado la partecipazione dei due paesi alla SCO e al gruppo dei BRICS, in ossequio al principio del multilateralismo. Nessuno parla più di “Cindia”, cioè d ’integrazione fra i due giganti asiatici. Ma neppure di “Chimerica” (China and America), sognata da Robert Zoellick. L’India aderisce al concetto di “Indo-Pacifico” sponsorizzato dagli USA, ma si ritiene separata dall’Eurasia e dalla Regione Asia-Pacifico, che pensa troppo dominata dalla Cina. Non fa parte né dell’APEC né del RECEP, anche se mantiene ottime relazioni con il Giappone, con cui ha numerose joint ventures in Medio Oriente e Africa, iniziate dopo la fine della guerra fredda e l’inizio della politica indiana del “Look East”.

Per ora, i legami dell’India con le democrazie asiatiche e occidentali hanno ben poca probabilità di trasformarsi in alleanze vincolanti. Ma prima o poi l’India è destinata a far parte del blocco delle democrazie a guida USA in funzione anticinese. A differenza di quanto avveniva nella “guerra fredda” nella “pace fredda” non è più possibile isolarsi in una “terza via”. La rapidità del processo dipenderà dall’aggressività cinese e da che cosa Xi Jinping voglia ottenere dalla superiorità globale che la Cina intende raggiungere nel 2049, centenario della creazione della Repubblica Popolare. Come al solito l’UE è assente da tale “grande gioco”. Pur essendo interessata alla crescita dell’India, non intende porre a rischio i suoi interessi commerciali con la Cina. Trascura i problemi geopolitici e di sicurezza. Solo le democrazie asiatiche, prime fra le quali il Giappone e l’Australia, considerano importanti anche i secondi. Costituiscono perciò alleati affidabili degli USA e occupano un posto in prima fila.

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