La visita di Mike Pence a Roma è passata sottotraccia sui mezzi d’informazione italiani, distratti dalle elezioni regionali in Emilia-Romagna. D
alle notizie disponibili traspare forte preoccupazione statunitense per lo scarrellamento di Roma verso la Cina. Al di qua e al di là del Tevere, Pence ha affrontato temi simili se non identici.
Al netto del galateo diplomatico, il messaggio è stato piuttosto diretto. Al Vaticano e, in via derivata, all’Italia viene rinfacciato l’abbandono della comunità democratica occidentale e l’infatuazione per le sirene autoritarie e l’eurasiatismo di matrice sinica.
Per un verso, si conferma il disinteresse americano per le vicende interne italiane, troppo mutevoli. Per un altro verso, invece, questo disinteresse incontra un limite quando i rivolgimenti dei palazzi romani producono un disallineamento strategico dell’Italia rispetto alle coordinate americane.
A Washington non sfugge la curvatura che l’attuale nomenclatura papalina sta imprimendo alla politica estera vaticana, così come la subalternità dell’Italia rispetto al Vaticano. Questo Vaticano non si presta a bilanciare l’assertività cinese. Bergoglio non è certo Woytila, fondamentale nel contenimento dell’Unione Sovietica. Inoltre Bergoglio ribadisce il suo desiderio di volare a Pechino, lo ha fatto addirittura nel recente viaggio in… Giappone.
La Cina, d’altra parte, ha saputo mettere in atto operazioni di influenza nel cuore dell’Occidente e del Mediterraneo. La loro sofisticazione è tale che si può tranquillamente dubitare che Washington saprebbe fare di meglio.
A Roma e Atene Xi Jinping viene accolto trionfalmente, Trump invece non si è visto. All’Italia, tuttavia, non sarà consentito di assecondare il Vaticano, e la Cina, oltre un certo limite. Quale? Gli Usa vogliono in ogni caso continuare a contare sull’Italia come piattaforma logistica, indispensabile appoggio all’intersezione di Europa, Africa e Medio Oriente.
(commento pubblicato sul quotidiano Italia Oggi)