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Svizzera Multinazionali

Vi racconto gli strepitii in Svizzera su benessere e multinazionali

L’eventuale successo della proposta referendaria in Svizzera sulla responsabilità delle multinazionali sarebbe significativo perché testimonierebbe della serena inconsapevolezza dell’opinione pubblica elvetica sull’origine del livello di benessere economico di cui gode il Paese. Il corsivo di Teodoro Dalavecuras

Il 29 novembre il popolo della confederazione elvetica si pronuncia in un referendum sulla responsabilità globale delle multinazionali. Obiettivo sono tutte le multinazionali domiciliate in Svizzera, dalla Nestlé — svizzera per definizione — alla Glencore, gigante mondiale delle materie prime che nel cantone di Zugo ha la propria sede, ma poco altro di svizzero sia nell’azionariato che nella cultura d’impresa, nei mercati di approvvigionamento come in quelli di sbocco. Senza trascurare la pletora di mini-multinazionali cui le nuove regole di cui i promotori della consultazione referendaria chiedono l’inserimento nell’ordinamento giuridico elvetico si applicano come ai colossi mondiali.

I proponenti chiedono che tutte le imprese svizzere siano tenute a rispettare dovunque nel mondo i diritti umani e le norme ambientali riconosciuti internazionalmente e siano anche tenute verificare che i loro fornitori e partner commerciali si attengano alle stesse regole, il che di fatto significa che rischiano di rispondere anche delle violazioni di questi ultimi soggetti tecnicamente “terzi”.

Alcuni sondaggi assegnano la vittoria, con un margine più che confortevole, ai sostenitori dell’iniziativa, battezzata “multinazionali responsabili”, che persegue l’obiettivo politico di costringere le imprese a impegnarsi “proattivamente” – come si dice oggi – nella promozione, in qualsiasi angolo del pianeta, dell’osservanza dei diritti umani e delle norme in materia ambientale.

Questo è solo l’esempio più recente degli effetti del vento moralizzatore che da anni spazza le vallate, gli altipiani e le cime della Confederazione. Mesi fa a Neuchatel una petizione popolare aveva chiesto e ottenuto la rimozione del monumento eretto in onore di David de Pury, un abile e fortunato mercante del diciottesimo secolo originario di Neuchatel che aveva restituito, nella forma di opere di utilità pubblica nella cittadina della Svizzera occidentale, parte della ricchezza accumulata con gli affari condotti tra l’Europa, l’Africa e l’America meridionale basati – secondo il business model diffuso nel Settecento, sullo scambio di schiavi dell’Africa contro materie prime pregiate del centro-sud America; e di questa provenienza del denaro e quindi delle opere di bene di de Pury tutti i neocastellani (come vengono chiamati nel Canton Ticino gli abitanti di Neuchatel), almeno quelli mediamente scolarizzati, erano consapevoli da sempre, ma i disordini seguiti all’omicidio di George Floyd hanno evidentemente scatenato una psicosi emulativa.

Non più tardi dell’anno scorso si era sviluppato sui media un dibattito piuttosto teso tra chi denunciava il malcostume dei biglietti omaggio e – orrore – dei pernottamenti pagati a esponenti della politica nelle serate inaugurale di festival o altri eventi analoghi e chi, sommessamente, suggeriva di non perdere del tutto il senso della misura.

Certo, l’eventuale successo della proposta referendaria sulla responsabilità delle multinazionali sarebbe particolarmente significativo, perché testimonierebbe della serena inconsapevolezza dell’opinione pubblica elvetica sull’origine del livello di benessere economico, ben superiore alla media europea, di cui gode il Paese, che con tutta la buona volontà di questo mondo si fatica a ricondurre solo al latte delle vacche e delle capre dei pascoli alpini e alla miracolosa stabilità (almeno fino a un paio di decenni fa) del sistema politico di democrazia diretta e federalismo, entrambi ben temperati.

Considerazione, questa, che si può ripetere anche a proposito delle intenzioni di recente annunciate dall’amministrazione rosso-verde di Zurigo, la meta agognata dei Ceo delle grandi multinazionali. Le linee guida urbanistiche preannunciate bei giorni scorsi dalla amministrazione municipale di Zurigo prevedono che tutti gli spazi esterni degli edifici privati, comprese le aiuole sotto gli affacci esterni, le terrazze in copertura e i cortili interni siano liberamente accessibili al pubblico. Questo, nel dichiarato intento di “deprezzare” la proprietà immobiliare privata. Approccio singolare ai problemi urbanistici in una metropoli dove, qualche decennio fa, circolava la seguente gag. Domanda: perché davanti alla sede del Crédit Suisse è stata sistemata una grande aiuola? Risposta: per fare in modo che i soldi gettati dalle finestre non facciano troppo rumore quando cadono al suolo (per obiettività si deve ricordare che parecchi anni dopo, ai tempi della crisi dei subprime americani la stessa battuta si sarebbe potuto fare a proposito dell’altro gigante bancario svizzero, la Ubs). Per dire che né il francescanesimo, né l’etica dei mormoni, abitano da quelle parti.

Si può capire che la Neue Zürcher Zeitung, una delle più serie testate giornalistiche del mondo occidentale, abbia esclamato che, evidentemente, Zurigo è proprio decisa a fare onore alla sua fama di “Avana” (intesa ovviamente come capitale della Cuba di Fidel Castro) della Confederazione svizzera. Il timore di cui il quotidiano si fa interprete è quello di una penalizzazione della proiezione internazionale di Zurigo cui la città è debitrice di una parte notevole della sua prosperità.

Del resto, del benessere si può dire quel che si dice della libertà: ci si abitua facilmente a darla per scontata, finché non la si perde.

Tradizionalmente la Svizzera è in grado di azionare meccanismi che, senza clamore e senza fretta, disinnescano queste mine che ogni tanto le “anime belle” che il benessere protratto inevitabilmente produce, collocano in qualche punto strategico della mappa socio-economica, però non si può nemmeno escludere che alla lunga gli strappi operati nel tessuto delicato del sistema-Svizzera lascino qualche brutta cicatrice.

D’altra parte non si devono neanche dimenticare le parole attribuite a Voltaire che raccomandava: “se vedete un banchiere svizzero che si getta dalla finestra seguitelo”. La storia dei successivi due secoli gli ha dato ragione, e poi non si può mai escludere che sotto le finestre si trovi una morbida accogliente aiuola.

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