Il governo Meloni sta sfoderando una longevità politica e di consenso, nonché una serie di risultati socio-economici, che vanno al di là delle più rosee aspettative, anche se in parte poggiano sulla relativa arretratezza italiana, che rende più facile migliorare le cose rispetto a quanto non accada, per esempio, in Germania. In questo contesto abbiamo ipotizzato per Giorgia Meloni un futuro diverso da quello di “presidente del Consiglio per due volte di fila”. Potrebbe cioè “accontentarsi” del record di primo Premier a finire o quasi la legislatura e poi passare ad altro mestiere, vedansi Presidente della Repubblica o della Commissione europea. Rispetto a questa seconda ipotesi, il tenore dei commenti tra il deluso e l’indignato che accompagnano l’accordo sui dazi con Donald Trump a poche ore dalla sigla è l’ennesima prova della già conclamata debolezza dell’attuale Commissione e soprattutto della sua Presidente.
Le cose sembrano procedere verso un possibile rinnovo, in tempi e modi naturalmente tutti da stabilire. Per quanto riguarda il Quirinale, la scadenza fisiologica del mandato di Mattarella è invece stabilita e potrebbe essere compatibile con un cambio di scena di Meloni.
In questo quadro, la dichiarazione del presidente del Senato a favore della discesa in campo di Pier Silvio Berlusconi, l’esponente della famiglia più vicino al governo, è clamorosa non solo per la sua esplicitezza (a questo stile Ignazio La Russa ci ha abituato) ma anche perché entra direttamente nel terreno di un partito alleato e quindi auspica, o prefigura, una variazione della maggioranza in senso più moderato e centrista, al fine di raccogliere altri sostegni di partito che potrebbero non escludere il Pd. Laddove, ovviamente, quest’ultimo risolvesse la propria crisi interna e sostituisse l’attuale segretaria.
Non è un quadro tutto in rosa, non è una strada in discesa, inciampi e impicci ce ne sono: il caso Almasri, i centri in Albania, l’irrisolta questione Ilva, il complesso risiko bancario… Ma si tratta di (relativi) dettagli rispetto a una situazione che viaggia in direzione giusta a livello nazionale e che ristagna in una confusione apocalittica a livello internazionale.
Lo stesso esito del referendum sulla riforma della Giustizia del quale il ministro Nordio ha evidenziato l’incertezza, non si sa se per un coming out personale o per una scelta di comunicazione più ponderata, potrebbe non essere una notizia in assoluto negativa, poiché l’eventuale sconfitta referendaria sarebbe l’ennesima prova dei veti reciproci e dei conflitti di competenze che imprigionano la situazione istituzionale. Non è questa la ripartizione che Montesquieu intendeva.
Anche gli ultimi dati dal Fondo Monetario Internazionale e dell’Istat attestano che le cose, per l’Italia e per il suo presidente del Consiglio, vanno non malaccio. Nel quadro in chiaroscuro, poi, quanto più ci si allontana dalle beghe quotidiane tra maggioranza e opposizione tanto più emerge una leadership forte e ragionevole. La copertina di Time questo significa, anche se gli avversari malmostosi tengono a sottolineare che non è un peana: in realtà proprio questa è la sua forza, che anche osservatori internazionali non pregiudizialmente favorevoli ammettano la forza di Meloni. Time conta un pochino più delle dichiarazioni del portavoce di Fratelli d’Italia o di quelle di Magi e Renzi.