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Perché la crisi di governo non sarà né breve né facile

Che cosa succederà dopo la conferenza stampa del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte? I Graffi di Damato

Anche se alla Stampa, quella storica di Torino, e al Giornale della famiglia Berlusconi hanno un po’ bruciato le tappe traducendo in prima pagina l’attesa conferenza stampa del presidente del Consiglio Giuseppe Conte nell’annuncio dell’apertura di una crisi governo, il percorso verso di essa, se vi si arriverà davvero, non si presenta né breve né facile, e tanto meno scontato.

IL PENULTIMATUM DI CONTE

Già ridotto prudentemente da Repubblica a “penultimatum” quello che persino il quirinalista del Corriere della Sera Marzio Breda, seguendo le parole e il pensiero quasi sintonico del capo dello Stato in trasferta nella sua Palermo, ha definito “ultimatum”, pur senza il requisito essenziale di una scadenza precisa, quello di Conte a Palazzo Chigi è stato un discorso pronunciato come se anche lui stesse a cavallo: al pari del guerriero nella tela di Giovan Battista Pace appesa alle sue spalle nella sala delle Galere, o dei Galeoni, nella sede del Governo, con la maiuscola.

CHE COSA HA INVOCATO IL PREMIER

Rapidità, ma genericamente intesa, chiarezza e lealtà sono state chieste dal presidente del Consiglio ai suoi due vice Luigi Di Maio e Matteo Salvini, e ai partiti ch’essi rappresentano: il primo, in verità, in modo un po’ accidentato dopo la batosta elettorale del 26 maggio e la fiducia alquanto improvvisata dei militanti confermatagli con un referendum digitale non condiviso da un esponente non certo minore del suo movimento come il presidente della Camera Roberto Fico, e l’altro con la sicurezza, anzi la baldanza assicuratagli dal 34 per cento dei voti raccolto nelle urne doppiando i soci grillini di maggioranza.

TUTTE LE ULTIME FIBRILLAZIONI

Complici un viaggio ufficiale dello stesso Conte nel lontano Vietnam e la coda della campagna elettorale costituita dai ballottaggi comunali di domenica prossima, per i quali Salvini si sta spendendo con la solita energia, intesa in tutti i sensi, solo nella settimana prossima di potranno cominciare a vedere e a capire meglio umori personali e politici e le conseguenti prospettive di un governo di cui il presidente del Consiglio ha onestamente ammesso di avere perduto un po’ il controllo negli ultimi tempi, sottovalutando tensioni, veleni e quant’altro di una serie di competizioni elettorali. E ciò, nonostante quel sussulto di energia, e di orgogliosa rivendicazione delle sue prerogative istituzionali, mostrato dallo stesso Conte in una intervista al madrileno El Pais dopo l’estromissione dal governo del sottosegretario leghista Armando Siri, finito sotto indagini preliminari per presunta corruzione nel tentativo, peraltro fallito, di garantire incentivi per legge ad un certo tipo di aziende eoliche, comprensivo di quella di un amico sotto processo di mafia.

QUALI EFFETTI CI SARANNO?

Nel reclamare, ripeto, rapidità di decisioni, chiarezza e lealtà per rispettare sino alla scadenza “naturale” della legislatura il “contratto” di governo stipulato l’anno scorso, e con il contratto anche il rispetto delle regole e dei vincoli europei sino a quando le une e gli altri non saranno cambiati, come vorrebbe in particolare Salvini, il presidente del Consiglio ha cercato di ricollocarsi in una posizione equidistante fra grillini e leghisti, pur essendo stati soprattutto i primi a designarlo a Palazzo Chigi.

LE DOMANDE DEI GIORNALISTI

Conte, questa volta scendendo un po’ da cavallo, ha mostrato di non gradire la domanda della giornalista Alessandra Sardoni, de la 7, poco convinta, diciamo così, ch’egli fosse stato equidistante fra i due partiti della maggioranza come si era appena vantato, o riproposto. Ma il presidente del Consiglio ha quanto meno dimenticato la sua partecipazione, il 21 ottobre dell’anno scorso, al raduno nazionale dei grillini al Circo Massimo, a Roma. Dove lui salì sul palco, abbracciato poi da Luigi Di Maio, per pronunciare un discorso, integralmente riascoltabile ancora su you tube, non proprio da esterno, diciamo così, del Movimento 5 Stelle: un discorso orgogliosamente e fiduciosamente di parte, all’indomani della “manovra del popolo” varata dal Consiglio dei Ministri nella convinzione di avere risolto il problema della povertà in Italia, come aveva annunciato imprudentemente dal balcone di Palazzo Chigi il suo vice pentastellato mandando in visibilio i militanti in marcia verso i barconi sul Tevere per proseguire i festeggiamenti.

Aiutato da un foglietto su cui aveva appuntato la scaletta dell’intervento, e libero una volta tanto dal vincolo della cravatta al collo, pur senza rimanere in maniche di camicia, Conte fece un bilancio trionfalistico dei 143 giorni trascorsi sino ad allora a Palazzo Chigi e ne promise altri dello stesso segno, grazie alle virtù e alle particolarità del movimento grillino, “sino al 2023”, epilogo ordinario della legislatura prodotta dal voto del 4 marzo 2018. “Fatevene una ragione”, disse il presidente del Consiglio rivolgendosi a quel punto non al pubblico che lo inneggiava ma alle opposizioni ben lontane dal Circo Massimo.

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