Matteo Renzi scalpita da apparire quasi un leone in gabbia. Forte della sua indubbia capacità di fare manovre di Palazzo, per le quali però spazio non c’è, tant’è che dice persino quello che solo in apparenza può sembrare ovvio e cioè che i parlamentari di Forza Italia “vogliono restare in maggioranza” (altrimenti, cosa farebbe? Shopping?); debole nei consensi che ha nel Paese e per giunta con un divorzio che si sta consumando con Carlo Calenda. Ad alto rischio la soglia del 4 per cento, quindi, se Iv va da sola alle Europee. Anche se l’ex premier, ieri al Meeting di Rimini, in forma personale per l’anniversario della scomparsa dell’amico Don Paolo Bargigia, si dice, naturalmente, sicuro già da ora di raggiungerla.
In tutto questo, fumo di Londra sul centro che intende costruire fuori dai due poli contro “sovranisti” e “populisti”. Fumo di Londra sul cosiddetto assedio enfatizzato dai media ad Antonio Tajani che, con Il Giorno, secco replica: il terzo polo è “un’ipotesi fallita”, non voglio costruire “un traghetto solo per affrontare le Europee”, ma “un centro di gravità permanente: al nostro simbolo con il nome di Berlusconi e il riferimento al Ppe non rinunceremo mai”. Tradotto, frasi che confermano anche la volontà del vicepremier e ministro degli Esteri di non essere un leader di transizione di FI.
Rispedita al mittente, con un’intervista a “Il Giornale” del portavoce azzurro, vicepresidente vicario del gruppo a Montecitorio, Raffaele Nevi, la proposta di fare gli aggregatori delle forze minori centriste fatta dal governatore azzurro siciliano Renato Schifani. Nevi: “Molto generosi in passato. Sempre aperti, ma Forza Italia non è un taxi da mollare”.
In tutto questo in quali spazi tenta di inserirsi Renzi, nel suo pur legittimo disegno? Ovviamente in eventuali crepe che potrebbero aprirsi nella maggioranza sui nodi di fondo delle riforme istituzionali, già però nel programma comune con il quale il centrodestra è andato al governo. Ed è un po’ difficile ipotizzare che la coalizione voglia fare questo regalo al leader di Iv. Con parlamentari di FI, visto che li ha nominati, pronti ad andare all’opposizione con Renzi. O magari in un nuovo governo tecnico con tutti dentro, inipotizzabile però, soprattutto perché sarebbe una sonora sberla agli elettori che hanno votato quasi un anno fa per una chiara e netta maggioranza.
Chiaro che la conquista renziana di FI sarebbe la chiave di volta per scardinare l’intera coalizione di centrodestra o destracentro al governo di Gorgia Meloni, già “rimandata a settembre” dal leader di Iv sulla legge di Bilancio da fare. Ma tutto ciò appare come un sogno di mezza estate. Quindi, fumo di Londra. Ma certamente anche la necessità per la maggioranza di governo che dovrà andare separata alle Europee, poiché c’è il proporzionale, di mantenere l’inevitabile collaborazione-competizione sempre nel quadro di una cornice o decalogo di regole unitarie nella corsa elettorale. Un equilibrio di consensi tra le tre forze di maggioranza, FdI, Lega di Matteo Salvini, l’altro vicepremier, Ministro Infrastrutture-Trasporti, e FI (in particolare nel mirino di Renzi), senza che FdI avanzi troppo a esclusivo danno degli alleati, sarebbe la garanzia migliore per la durata fino al termine della legislatura di un governo rispetto al quale, del resto, non si intravedono alternative neppure dopo le Europee.
Semmai, il problema della coalizione a tre punte è quello di prendere consensi sfondando nel campo avversario e di quello dell’astensione. Vale per tutti e tre i partiti. Soprattutto per FI, dove Tajani ha già annunciato chiaramente il suo obiettivo di prendere consensi dai “moderati”, “riformisti” a disagio per la radicalizzazione a sinistra del Pd di Elly Schlein che insegue i Cinque Stelle. O dagli stessi delusi del quasi “fu” terzo polo alle prese con un battibecco continuo da telenovela che si rinnova con l’estate.