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Putin Germania

Industriali e commercianti in Germania borbottano sulle nuove misure anti Covid

Che cosa succede in Germania? L'approfondimento di Pierluigi Mennitti da Berlino

Il nuovo feticcio è il numero 35. È la cifra di incidenza di nuovi contagi in una settimana su 100.000 abitanti che sarà necessaria raggiungere dal 7 marzo per permettere nuovi allentamenti al lockdown in Germania, oltre quelli stabiliti dalla riunione del gabinetto di crisi governo-Länder del 10 febbraio. Il discorso vale soprattutto per le attività commerciali in generale: i servizi, i singoli negozi, la ristorazione con bar e ristoranti, le attività culturali come musei e gallerie, quelle sportive come le palestre e gli studi di fitness. Per il momento, oltre alle scuole, l’unica luce verde è stata accesa per i parrucchieri, che riapriranno i battenti dal 1° marzo.

Il timore per la terza ondata, determinata dalla combinazione della diffusione delle mutazioni del virus e dall’impasse nella campagna di vaccinazione, ha consigliato i politici a giocare la carta della riapertura solo sulle scuole, che riapriranno gradualmente sotto la responsabilità delle regioni a partire dalla prossima settimana, con classi ridotte e lezioni a rotazione. E già così si teme che il virus possa riprendere a circolare attraverso le nuove varianti che, ha spiegato la cancelliera, nei prossimi mesi sostituiranno il ceppo originario. Il resto delle attività resta ancora semi paralizzato, con le aziende invitate a proseguire dove possibile con l’home office (peraltro non molto gradito soprattutto dalle PMI) e i proprietari di negozi e ristoranti costretti a controllare l’incidenza di contagi nel loro territorio nella speranza di una stabile diminuzione. Per non parlare di albergatori e operatori del turismo, i cui orizzonti appaiono ancora più foschi.

Nel vertice, nuovamente prolungatosi fino alla sera, sono volate parole grosse e, se fosse stato per Angela Merkel, le misure restrittive sarebbero proseguite ancora fino a metà marzo, anche per le scuole. Ma le divisioni che hanno attraversato questo gabinetto sin dalla sua costituzione si sono riproposte in maniera ancora più netta, portando all’ennesimo compromesso. Le pessimistiche previsioni della cancelliera (che ne capisce di scienza, matematica ed esponenzialità delle curve più di tutti gli altri Ministerpresidenten messi insieme) hanno purtroppo sempre avuto riscontro nell’andamento della pandemia. Così questa volta pochi cullano l’illusione di poter sfuggire a una terza ondata, ma la pressione sociale non è ormai facile da contenere dopo un anno di stress da covid e il mondo del lavoro, particolarmente quello autonomo, protesta a gran voce.

Il problema è che il limite fissato per il prolungamento del lockdown è altrettanto vago di quelli precedenti. Il 7 marzo è una data pro forma, il vero discrimine sarà il raggiungimento dell’incidenza di 35 nuovi casi e molti si chiedono come sarà possibile arrivarci se già si prospetta come probabile l’orizzonte di una terza ondata, per di più con l’incognita delle scuole riaperte.

Così, il giorno dopo il vertice le associazioni dell’industria e del commercio sono tornate ad alzare la voce, mostrando tutta la loro delusione per le decisioni scaturite. Nessuno aveva davvero sperato in un rapido allentamento delle misure restrittive, ma sconcerta l’assenza di indicazioni precise e concrete cui legare le prospettive di ripresa. Frasi molto dure sono arrivate dal Bundesverband mittelständische Wirtschaft (BVMW), l’associazione che rappresenta il Mittelstand tedesco, un serbatoio di voti per la Cdu di Angela Merkel e Armin Laschet, secondo cui “il vertice è stato una delusione” e “i governanti mettono in conto sempre di più il fallimento di centinaia di migliaia di aziende e dei loro lavoratori rubandogli ogni tipo di prospettiva”. Markus Jerger, che del BVMW è il presidente, ha aggiunto all’Handelsblatt che “il governo consola ancora una volta le PMI con promesse non vincolanti, ma in fondo le costringe a elemosinare le briciole degli aiuti di Stato”.

Manca un piano concreto di riaperture, un tracciato per una graduale ripresa delle attività che dia certezza al settore che è stato deciso di immolare sull’altare del Pil nazionale. Perché per evitare altri crolli come quello di primavera, il governo ha deciso in autunno di contrastare i contagi riducendo la mobilità legata a ristorazione, turismo e commercio per preservare l’attività delle grandi industrie, il cui contributo al Pil è più grande. La scelta, dal punto di vista generale ha premiato: i recenti dati trimestrali hanno indicato che, a differenza della prima ondata, l’export ha sostenuto l’economia evitando almeno nominalmente la recessione. A pagare il conto sono state le attività legate al consumo privato.

Per questo settore il governo aveva varato una serie di aiuti economici (Aiuti ponte 1 e 29 ora prolungati fino al 7 marzo. Ma il loro pagamento puntuale si scontra con una serie di complicazioni e ritardi burocratici che il governo aveva promesso di eliminare e che invece stanno complicando la vita degli imprenditori. Solo a gennaio, ad esempio, è stato avviato il pagamento degli aiuti per il mese di novembre, e anche questi vanno a rilento. Marcel Fratzscher, presidente del centro di ricerca berlinese Diw, ha denunciato “la lentezza e l’insufficienza” di tali aiuti, che considera invece molto importanti: “Sono soldi ben investiti da parte dello Stato”, ha detto alla ZDF. Per Fratzscher si devono velocizzare i pagamenti e il governo deve già immaginare “un nuovo pacchetto di aiuti per sostenere il settore nei prossimi mesi”, senza perdersi in discussioni su un “irragionevole freno all’indebitamento”. Dagli aiuti restano peraltro scoperti le pedine più deboli della scacchiera del lavoro non dipendente come i “Soloselbständige” (lavoratori autonomi) e i percettori di mini-job, i lavori a basso reddito e senza contributi fiscali e previdenziali: questi ultimi sono stati molto colpiti dalla chiusura nella ristorazione e nel turismo.

Andreas Mattner, presidente del Zentrale Immobilien Ausschusses (ZIA), l’associazione di punta del settore immobiliare, fa due conti in tasca: ogni giorno di lockdown “costa 1,5 miliardi di euro solo nel settore del commercio al dettaglio” ha detto all’agenzia di stampa Dpa. Le conseguenze sono e saranno ancor di più drammatiche, ha aggiunto, “è in gioco la sopravvivenza di interi centri urbani”.

Ancor più grande la delusione nel settore turistico-alberghiero. “Che nelle decisioni del vertice alberghi e ristoranti non siano stati neppure citati ha creato nella braca frustrazione e disperazione”, ha detto all’Handelsblatt Ingrid Hartges che guida l’associazione di categoria più grande della Germania, Dehoga, “non possiamo far conto su nessuna data concreta di riapertura”. Un punto sul quale converge anche un altro economista di punta tedesco, Gabriel Felbermayr, direttore dell’istituto IfW di Kiel: “È giusto non riaprire tutto di corsa, ma è deplorevole che non sia stata fornita una road map”.

La prudenza, del governo e di Merkel più che dei presidenti dei Länder, è dettata da preoccupazioni legittime: la pandemia è ancora in corso, la flessione della curva di contagi della seconda ondata è stata lenta, nessuno può conoscere l’impatto delle mutazioni del virus ma gli esempi dei paesi dove si sono manifestate lasciano temere il peggio. Avrebbe un impatto ancora peggiore muoversi in una sorta di “apri e chiudi” per il commercio, l’insicurezza negli imprenditori e nei consumatori sarebbe ancora più grande e una terza ondata violenta costringerebbe di nuovo a un lockdown totale. Ma dal mondo economico arrivano ora le richieste di un vertice non solo politico: attorno al tavolo dovrebbero sedersi tutte le parti coinvolte, governanti ma anche associazioni di imprenditori, del commercio e i sindacati. Se riaprono le scuole senza anticipare i tempi di vaccinazione per insegnanti ed educatori (Merkel ha detto che si vedrà, ma il ministro Spahn ha già detto che non ci sono i vaccini a sufficienza), anche per il commercio si dovrà trovare una soluzione praticabile. “Entro il 3 marzo ci attendiamo dal gabinetto di crisi un piano concreto sui tempi di riapertura per sistoranti e alberghi”, ha detto Hartges.

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