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Perché in Italia servono misure stile Cina anti Covid-19. L’analisi di Parisi (Accademia dei Lincei)

Che cosa fare in Italia contro il Covid-19? L'analisi del fisico Giorgio Parisi, presidente dell'Accademia Nazionale dei Lincei

In questi ultimi dieci giorni il numero di ricoverati, di persone in sala di rianimazione e di morti è aumentato in maniera esponenziale.

La Cina se la caverà probabilmente con 3.000-4000 morti; l’Italia rischia di averne molti di più.

Un monitoraggio preciso degli ammalati è cruciale per avere informazioni fresche sullo sviluppo dell’epidemia, in particolare per capire quanto siamo prossimi al suo picco massimo, quante risorse è necessario allocare per la settimana successiva, quanto le misure di contenimento e mitigazione stiano dando frutto o siano inutili. Le persone prima diventano positive, poi probabilmente si ammalano, e successivamente possono entrare in ospedale, avere necessità di andare in rianimazione e, in una piccola percentuale, morire. Il primo segnale di rallentamento si potrebbe vedere sul numero giornaliero delle persone positive: gli altri segnali arrivano molto dopo.

Per motivi logistici, infatti, il numero di tamponi effettuati è relativamente basso; in molte Regioni le analisi vengono fatte prevalentemente su persone sintomatiche che avevano avuto contatti con gli ammalati. Negli ultimi giorni la situazione è molto migliorata: siamo passati dai 3.000 campioni al giorno (media fino al 5 marzo) ai 5.700 campioni del 7 marzo. Ci si sta muovendo nella direzione giusta, ma bisognerebbe poter fare di più. Una possibilità sarebbe aumentare i laboratori autorizzati per poter fare queste analisi a un numero molto più grande di possibili ammalati e coinvolgere un maggior numero di persone.

Ma come appare la situazione in Italia se confrontata con quella cinese? Prendiamo per semplicità il numero di decessi, che a meno di ritardi burocratici, dovrebbe essere il numero più affidabile. L’Italia nella prima settimana di marzo ha una situazione molto simile alla Cina nell’ultima settimana di gennaio. Per esempio, il 30 gennaio c’erano 213 morti in Cina e in Italia ha registrato 233 morti il 7 marzo.

Vediamo un grafico relativo ai morti in Italia (viola), paragonati a quelli cinesi di 37 giorni prima (verde). L’ultimo punto a destra corrisponde al 7 marzo in Italia e al 30 gennaio in Cina. Il primo punto a sinistra corrisponde al 24 febbraio in Italia e al 18 gennaio in Cina. Sono paragonabili anche il numero di pazienti in terapia intensiva e il tasso di crescita in queste due date nei due paesi. Finora l’andamento è molto simile. Se non verranno prese misure adeguate l’andamento italiano sarà quindi peggiore che in Cina.

Questa è un’altra elaborazione fatta dal professor Ricci Tersenghi in cui si vede chiaramente l’evoluzione dei decessi, mettendo i dati solo della regione dell’Hubei, che ha come capitale Wuhan, dove si sono concentrati la maggior parte dei morti. Il grafico mostra anche l’evoluzione della situazione nell’Hubei successiva al 31 gennaio, che potrebbe essere anche l’evoluzione in Italia.

Il 30 gennaio è una data importante per la Cina. Proprio in quei giorni si incominciava a vedere il rallentamento nell’aumento del numero dei morti e la fine della crescita esponenziale. Ma la Cina una settimana prima aveva istituito zone rosse che contenevano il 4% della popolazione. In queste zone c’erano misure severissime per prevenire il contagio: i trasporti erano stati soppressi, gli abitanti erano confinati nelle case, una persona per famiglia poteva uscire da casa ogni due giorni per comprare generi di prima necessità che erano portati nei negozi dall’esercito. Queste misure sono state essenziali per arrestare l’epidemia a livelli di contagio relativamente bassi in una grande città come Wuhan, dove i contagiati sono stati circa l′1% della popolazione. Da noi ci sono paesini dove si è arrivati a superare il 10%.

In tutta la Cina, anche fuori dalle zone rosse si sono prese misure drastiche: non solo le scuole erano state chiuse e ma anche uno dei due genitori era autorizzato a stare a casa. Se si fa come in Italia, si rischia di scaricare la cura dei bambini ai poveri nonni che invece dovrebbero stare a casa in quanto sono la parte più fragile della popolazione, oppure si rischia che la misura sia di serio peso per i genitori.

Oltre alle misure volte ad aiutare i singoli cittadini, in Cina una gran parte della produzione industriale era stata bloccata riducendo significativamente i contatti. Da un lato noi siamo più fortunati della Cina, visto che l’infezione non si è ancora diffusa significativamente nelle grandi città, ma è concentrata in alcuni comuni dove l’epidemia è molto avanzata e in linea di principio sarebbe più facile contenere.

Già il 3 marzo il presidente dell’Iss Silvio Brusaferro dichiarava: “Stiamo valutando l’opportunità di estendere la zona rossa sulla base di alcuni criteri epidemiologici, geografici e di fattibilità della misura”.

Le misure prese l’8 marzo sono state prese sfortunatamente con qualche giorno di ritardo, ritardo grave in una situazione in cui il numero dei morti aumenta di poco più del doppio ogni tre giorni. Le misure devono essere tempestive, altrimenti sono insufficienti e richiederanno restrizioni sempre più gravi nei giorni successivi. Deve essere chiaro a tutti che le misure di contenimento prese in Cina sono state estremamente pesanti. Ma non bisogna dire che non sono realizzabili in uno stato democratico e che Italia non sarebbero possibili: è mancanza di fiducia nella democrazia.

Tutte le misure prese in Cina possono essere replicate in Italia a patto che ci sia una informazione chiara e decisa: gli stati democratici sono capaci di affrontare le difficoltà meglio delle dittature se c’è una comunicazione adeguata.

Le persone sono disposte a fare dei sacrifici se si rendono conto della razionalità delle misure e dei rischi reali. Minimizzarli non serve a nulla se non ad aggravare la situazione.

 

(Estratto di un articolo pubblicato su Huffingtonpost.it scritto con Luca Foresti, ceo di CentroMedico Santagostino)

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