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Perché in Francia ci sono proteste e violenze? Tutti zitti i centri studi di geopolitica in Italia

Che cosa si dice e che cosa soprattutto non si dice in Italia sulle proteste e le violenze in Francia

CHE COSA SUCCEDE IN FRANCIA

Ancora disordini e centinaia di arresti in Francia dopo la quinta notte di proteste legate alla morte del giovane Nahel, il ragazzo ucciso da un agente di polizia. Tuttavia, secondo le autorità francesi, le proteste sono state molto meno intense rispetto ai giorni precedenti. Nella notte un totale di 486 persone sono state arrestate in tutto il paese, ha annunciato il ministro degli Interni Gerald Darmanin, aggiungendo che il livello di violenza sembra essere diminuito da quando sono scoppiati i primi disordini. “E’ stata una notte più tranquilla grazie all’azione risoluta delle forze di sicurezza”, ha twittato Darmanin che aveva dato disposizioni di schierare 45 mila agenti, lo stesso numero della notte precedente.

I NUMERI DEGLI AGENTI IN FRANCIA CONTRO LE VIOLENZE

A Parigi e nelle regioni limitrofe, dove erano in forza circa 7 mila agenti, 126 persone sono state arrestate nella tarda serata e nelle prime ore della notte. La polizia ha stretto le misure di sicurezza sugli Champs Elysees dopo l’annuncio circolato sui social media secondo cui il celebre viale parigino sarebbe stato il punto di ritrovo delle proteste. Le facciate dei negozi sono state sbarrate per prevenire potenziali danni e saccheggi.

LE NOTIZIE DALLE PRINCIPALI CITTA’ FRANCESI

Più intensi – secondo il punto dell’agenzia Agi – i disordini a Marsiglia, dove manifestanti e polizia si sono scontrati fino a tarda notte sulla Canabiere, arteria principale della città. Le forze dell’ordine hanno sparato gas lacrimogeni per disperdere la folla. Tuttavia, intorno alla mezzanotte, le autorità di Marsiglia e Lione hanno segnalato meno incidenti rispetto alla notte precedente, e hanno registrato rispettivamente 56 e 21 persone arrestate nelle due città. Il presidente francese Emmanuel Macron, che dopo le proteste di piazza legate alla controversa riforma delle pensioni si ritrova ad affrontare un nuova crisi, ha annunciato ieri al suo omologo tedesco Frank-Walter Steinmeier il rinvio a martedì della sua visita di Stato in Germania prevista per questa sera.

Rimane intanto in stand by la questione dello stato di emergenza, chiesto dalle forze di estrema destra e non escluso dallo stesso governo di Elisabeth Borne fino a due giorni fa. La Francia ospiterà i Mondiali di rugby in autunno e poi le Olimpiadi di Parigi nell’estate del 2024 e diversi Paesi europei, tra cui l’Italia, hanno aggiornato le loro indicazioni di viaggio consigliando ai cittadini cautela e prudenza negli spostamenti in Francia.

LE PAROLE DI VALLS

La legge del 2017 che allargherebbe i casi in cui un poliziotto può sparare non va cambiata “perché si è limitata ad allineare le regole per la polizia a quelle all’epoca già in vigore per i gendarmi. L’abbiamo preparata e votata noi della sinistra rispondendo alle richieste dei poliziotti spesso minacciati da auto che non si fermano all’alt”. Così al Corriere della Sera l’ex premier e ministro dell’Interno francese Manuel Valls. “L’agente – dice ancora – è stato subito incriminato e incarcerato. La morte di un ragazzo di 17 anni è un dramma. Ma quel minorenne non avrebbe dovuto trovarsi alla guida dell’auto, e non era la prima volta che guidava senza patente. Ora bisogna lasciare lavorare la giustizia”. “È vero – ammette – c’è violenza nella società francese, forse più che altrove in Europa. La Francia è un Paese giacobino, verticale, dove lo Stato è molto forte. La crisi dell’autorità dello Stato porta a rimettere tutto in discussione”. A questo si aggiunge che nelle banlieue “si sono concentrati gli immigrati e i loro discendenti, essenzialmente di origine africana. Parte di loro non si sono integrati, non si sono assimilati, non amano la Francia, le sue istituzioni, i suoi simboli”. Non è però, secondo Valls, un tema di povertà: “È stato speso molto denaro, in quei quartieri. Nanterre non è una città povera. Il lavoro c’è”. Piuttosto “sono crollate le grandi istituzioni politiche, il partito comunista, la chiesa, i sindacati, le grandi associazioni. Anche i sindaci non hanno più la forza che avevano vent’anni fa. E l’Islam ha preso un ruolo importante, forse eccessivo”

IL COMMENTO DEL SOCIOLOGO FRANCESE

“La storia sociale delle rivolte si ripete. Dagli anni 70, tutte le rivolte urbane in Francia obbediscono allo stesso scenario. Un giovane vittima di razzismo muore a seguito di un’interazione violenta con un poliziotto. L’emozione collettiva porta alla rivolta. Le ‘marce bianche’ fanno appello alla calma, ma la rivolta continua per alcuni giorni alimentata dalla repressione poliziesca”. E’ quanto dice al Fatto Quotidiano il sociologo francese Michel Kokoreff. “Nel 2005 le rivolte erano durate circa tre settimane – ricorda – Con il ritorno dell’ordine pubblico, le promesse di soluzione e di deghettizzazione dei quartieri sono volate via. Oggi non siamo nelle stesse condizioni. Mi sembra più appropriato il legame con George Floyd, nel 2019”. “Le stesse cause producono gli stessi effetti. La povertà, la disoccupazione, la precarietà, l’abbandono scolastico e la de-scolarizzazione sono cause strutturali, a cui si sovrappongono cause etnorazziali, sentimenti di esclusione, razzismo, islamofobia, discriminazioni di ogni tipo in particolari i controlli sul riconoscimento facciale”.

L’ANALISI DEL POLITOLOGO

“In Francia non si è mai sentito parlare di uno spacciatore ucciso dalla polizia in una banlieue. C’è prima di tutto una dimensione sociale. La maggior parte dei giovani che partecipa ai disordini è figlia dell’immigrazione. In questa fascia della popolazione sono molti quelli che appartengono alla borghesia”. Così alla Stampa il politologo francese Olivier Roy. L’ascensore sociale in Francia ha funzionato parzialmente. È tutta lì la questione”. “Da 40 anni tutte le sommosse scoppiate nelle banlieue hanno avuto come punto di inizio la morte di un giovane ucciso dalla polizia. E’ assurdo vedere gli spacciatori agire tranquillamente in quei quartieri mentre un ventenne che passa con il rosso viene ammazzato dagli agenti. Siamo ormai a una situazione simile a quella americana. Per questo c’è un sentimento di profonda ingiustizia in quelle zone: la polizia tormenta i ragazzi ma non se la prende mai con i veri delinquenti”. Rispetto alle banlieue “il problema è stato individuato da più di 20 anni ma si è cercato di dare una risposta con una falsa politica. Già ai tempi di Sarkozy è stato fatto un parallelo tra le guerre di banlieue e il terrorismo islamista. I musulmani sono stati stigmatizzati, mentre gli aspetti sociali e generazionali di simili eventi sono finiti per essere marginalizzati”. Secondo Roy il peso dell’Islam su quanto sta accadendo è “zero. Sarebbe come dire che le rivolte degli afroamericani negli Usa sono protestanti o cattoliche. La prova è anche data dalla marginalizzazione degli imam, che sono tutti contrari alle violenze ma nessuno li ascolta”.

CHE COSA SCRIVE FORLENZA DELLA LUISS

“C’è la storia di un impero coloniale finito con una guerra lacerante e sanguinosa, di una integrazione culturale drammaticamente fallita, di una crisi profonda che non è semplicemente sociale o economica. – ha scritto sul Sole 24 ore Rosario Forlenza del dipartimento di Scienze Politiche alla Luiss – È una crisi di senso e di significato, esistenziale, dei legami che rendono possibile la vita e il funzionamento della società democratica. Per anni la Francia è stata come una pentola a pressione. Ora è esplosa, con conseguenze non facili da prevedere né tantomeno da governare”.

L’APPROFONDIMENTO DELL’ISPI

L’unico breve approfondimento sulla Francia da parte dei centri studi di geopolitica in Italia e delle riviste di politica internazionale risale ad alcuni giorni fa ed è quella accennato dall’Ispi: “C’è una data, in particolare, al centro del dibattito e dei riferimenti di chi accusa le forze dell’ordine di comportamenti sempre più violenti: è quella del 28 febbraio 2017, in cui fu approvata in parlamento la legge sulla pubblica sicurezza, la cui ambiguità – sostengono i detrattori – alimenterebbe il ricorso alle armi da fuoco da parte degli agenti in servizio per le strade francesi. “Approvata frettolosamente dopo le gravi ferite causate a due agenti a Viry-Châtillon (Essonne) nell’ottobre 2016 – ricorda Le Monde – questo testo ha esteso le condizioni di utilizzo delle armi da fuoco per gli agenti di polizia”. Pur imponendo il rispetto dei principi di “stretta proporzionalità” e di “assoluta necessità”, la legge elenca diversi casi in cui membri delle forze di sicurezza sono autorizzati ad aprire il fuoco. Tra questi: il rifiuto di ottemperare (ai controlli) quando gli occupanti del veicolo “rischiano di perpetrare, durante la fuga, attentati alla propria vita o all’integrità fisica o altrui”. Da allora, secondo vari studi, il numero di sparatorie contro veicoli in movimento è aumentato, raggiungendo il picco nel 2017 con 202 episodi, 65 in più rispetto all’anno precedente. Da allora, questa cifra è scesa a 157 casi nel 2021, ma rimane comunque più alta di quelle registrate prima del 2017. Secondo gli studi, inoltre, la maggior parte delle persone ferite o uccise dalla polizia per le strade o ai posti di blocco dal 2017 ad oggi sono cittadini neri o di origine araba”.

L’APPROFONDIMENTO DI LIMES

Scrive Limes: “Soprattutto dal 2010 in poi, la violenza esercitata dalle forze dell’ordine francesi è sensibilmente aumentata anche in termini di letalità: il picco è stato raggiunto nel 2021, anno in cui 52 persone hanno perso la vita a causa di un intervento della polizia. Gli abitanti delle banlieues, spesso di origine magrebina e di status socioeconomico precario, sono tra le principali vittime di questi «incidenti». La morte di Nahel riporta in superficie le condizioni di semi-segregazione in cui versano molte delle comunità nordafricane e arabe di Francia, che lo Stato non è mai pienamente riuscito a integrare nel tessuto urbano e sociale, con buona pace di leggi sul separatismo religioso e inasprimento delle misure repressive. Lo stesso sobborgo parigino di Nanterre, da cui è originata la rivolta, era negli anni Sessanta una bidonville: reflusso metropolitano della guerra d’Algeria (1954-62), che provocò un forte aumento delle ondate migratorie dal paese in lotta per l’indipendenza verso la métropole. Le sommosse di queste ore vanno quindi inquadrate nella tensione irrisolta tra lo Stato centrale francese e le sue periferie, tanto geografiche quanto sociali ed etniche. Che la rivolta abbia a bersaglio proprio lo Stato lo dimostra anche il numero di istituzioni pubbliche prese di mira, molte di più persino rispetto al 2005. Che le tensioni da allora non si siano smorzate, ma anzi acuite, è provato anche dalla giovane età media degli arresti durante i disordini (14-18 anni), segno che il fenomeno si sta riproducendo nelle nuove generazioni”.

Forse è fallita la politica di immigrazione, di integrazione e multiculturale? Ma la domanda non sfiora riviste e centri studi di geopolitica visto che né Ispi, né Affari internazionali, né Aspenia né tanto meno Limes (secondo cui tutta la colpa sistemica in sostanza è della polizia) si esercitano in maniera approfondita per spiegare e analizzare quanto sta succedendo in Francia. Certo, meglio analizzare quanto succede in Mali o nell’Artico… I lettori ringraziano.

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